Pagina 2 | Serie A, falli di mano: tre casi e due misure

ROMA - Un rigore non dato si può accettare. Un regolamento oscuro e contraddittorio si deve tollerare. Ma un presidente degli arbitri che pretende di dare lezione su ciò che egli stesso dimostra di non conoscere è davvero troppo. Perché Marcello Nicchi ieri ha ribadito, parlando a Radio Anch’io, che «il fallo di mano di De Ligt non è rigore» e che «la norma è chiara». Ma allora ci spieghi perché in altre due circostanze in questo campionato la stessa norma è stata applicata in senso opposto, con sua piena approvazione. Stiamo parlando dell’articolo 12 della circolare numero 1-2019/2020 dell’Aia, che ciascun lettore può facilmente consultare su internet. Nicchi ne cita solo una parte, quando ricorda che non c’è infrazione se il pallone, che tocca le mani-braccia del calciatore, proviene direttamente dalla testa o dal corpo (compresi i piedi) del calciatore stesso. È il caso di De Ligt: nel tentativo di rinviare, il difensore juventino svirgola la palla, che poi finisce sul suo braccio. Il presidente degli arbitri sottolinea che è irrilevante il fatto che il braccio sia largo, perché – aggiungiamo noi - l’intenzionalità lecita della giocata azzera la colpa di un gesto atletico scorretto. Cioè deroga a un principio generale, che invece censurerebbe mani e braccia “posizionate in modo innaturale, aumentando lo spazio occupato dal corpo, o al di sopra dell’altezza delle spalle”. Nicchi però omette la seconda parte della regola, che esclude l’infrazione anche quando il pallone, che tocca le mani-braccia del calciatore, “proviene direttamente dalla testa o dal corpo (compresi i piedi) di un altro calciatore che è vicino”. Il presidente degli arbitri questo secondo comma pare averlo dimenticato. Non solo ieri, ma in altre due circostanze.


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La norma sul fallo di mano: gli altri due casi

La prima riguarda Cagliari-Brescia, debutto del campionato. All’ottavo minuto della ripresa, Cerri è ancora in elevazione, dopo aver invano tentato di intercettare un cross in area: il pallone lo scavalca, viene colpito di testa da Chancellor, che si trova alle sue spalle a meno di trenta centimetri, e sbatte sul suo avambraccio mentre il cagliaritano ricade. Il rigore trasformato da Donnarumma regalerà, è il caso di dirlo, tre punti al Brescia.

La seconda circostanza è fissata, nella stessa giornata, all’ottavo minuto del primo tempo di Fiorentina-Napoli: dopo uno stop di fianco, Zielinski allarga le braccia per tenersi in equilibrio, Castrovilli lo anticipa con il ginocchio, che spinge il pallone contro quelle braccia. Il fotogramma del Var, consultabile da chiunque su YouTube, mostra che tra il ginocchio e le braccia ci sono meno di trenta centimetri, e in mezzo c’è il pallone: era cioè impossibile per il centrocampista del Napoli sottrarsi al contatto. Eppure l’arbitro Massa non ha dubbi e assegna il rigore, dopo aver consultato il Var. Meno ancora ne hanno lo stesso Nicchi e il designatore Rizzoli quando, il giorno dopo, chiederanno scusa, a nome del direttore di gara. Ma non per quell’episodio, che giudicano valutato in modo corretto, bensì per il tiro dagli undici metri concesso poi al Napoli su un fallo simulato da Mertens. Nulla avranno da eccepire né sul rigore del Brescia, né su quello concesso ai viola. A questo punto i casi sono due. O le regole non sono chiare, oppure Nicchi pensa di poterle girare come più gli conviene. Rifiutiamo apertamente la seconda ipotesi, perché riconosciamo la sua buona fede. Ma allora gli chiediamo di ammettere che sbaglia. Il braccio di De Ligt non era meno aperto di quello di Cerri o di Zielinski: se la deroga contenuta nell’articolo vale in tutti i due casi, il Brescia ha un vittoria di troppo; in caso contrario probabilmente ce l’ha la Juve. Non si tratta di parteggiare per una squadra o per un’altra, ma di pretendere regole chiare e interpretazioni univoche. E qui sta il nodo dell’intera vicenda. Perché le regole non rispondono a un solo principio logicamente coerente, ma a criteri esperenziali in contraddizione tra loro.


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La nuova norma estende la punibilità alle condotte colpose

Il vecchio regolamento era di una semplicità assoluta: il fallo volontario di mano si puniva, quello involontario no. La nuova norma estende la punibilità anche alle cosiddette condotte colpose, desumibili da una serie di esempi e criteri interpretativi indicati nella circolare dell’Aia. I lettori che volessero leggere l’intero articolo 12 e le chiose che lo accompagnano si renderebbero conto che principi diversi, e talvolta confliggenti, coesistono nelle stesso testo, senza che sia chiaro sempre quale prevale. C’è il principio che censura il gesto atletico potenzialmente scorretto, cioè la postura non conforme delle braccia; c’è il principio di intenzionalità della giocata che talvolta sembra prevalere e talaltra no; c’è il principio di importanza del vantaggio arrecato dal fallo di mani, che dispone – in maniera logicamente incoerente - l’annullamento del gol segnato in modo accidentale, cioè in assenza non solo di volontarietà ma anche di colpa, come sarebbe un rimpallo contro il braccio perfettamente attaccato al corpo. Il bilanciamento tra questi principi non può essere lasciato alla solitudine dell’arbitro, né all’illusione di un verdetto tecnologico del Var. Occorre rimettere la ragionevolezza al centro di uno sport che rischia, altrimenti, di trasformarsi in un gioco d’azzardo. In attesa che ciò avvenga su scala globale, dove il confine tra volontario e involontario è stato archiviato, l’ultima cosa da fare è dire che le regole sono chiare.


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La norma sul fallo di mano: gli altri due casi

La prima riguarda Cagliari-Brescia, debutto del campionato. All’ottavo minuto della ripresa, Cerri è ancora in elevazione, dopo aver invano tentato di intercettare un cross in area: il pallone lo scavalca, viene colpito di testa da Chancellor, che si trova alle sue spalle a meno di trenta centimetri, e sbatte sul suo avambraccio mentre il cagliaritano ricade. Il rigore trasformato da Donnarumma regalerà, è il caso di dirlo, tre punti al Brescia.

La seconda circostanza è fissata, nella stessa giornata, all’ottavo minuto del primo tempo di Fiorentina-Napoli: dopo uno stop di fianco, Zielinski allarga le braccia per tenersi in equilibrio, Castrovilli lo anticipa con il ginocchio, che spinge il pallone contro quelle braccia. Il fotogramma del Var, consultabile da chiunque su YouTube, mostra che tra il ginocchio e le braccia ci sono meno di trenta centimetri, e in mezzo c’è il pallone: era cioè impossibile per il centrocampista del Napoli sottrarsi al contatto. Eppure l’arbitro Massa non ha dubbi e assegna il rigore, dopo aver consultato il Var. Meno ancora ne hanno lo stesso Nicchi e il designatore Rizzoli quando, il giorno dopo, chiederanno scusa, a nome del direttore di gara. Ma non per quell’episodio, che giudicano valutato in modo corretto, bensì per il tiro dagli undici metri concesso poi al Napoli su un fallo simulato da Mertens. Nulla avranno da eccepire né sul rigore del Brescia, né su quello concesso ai viola. A questo punto i casi sono due. O le regole non sono chiare, oppure Nicchi pensa di poterle girare come più gli conviene. Rifiutiamo apertamente la seconda ipotesi, perché riconosciamo la sua buona fede. Ma allora gli chiediamo di ammettere che sbaglia. Il braccio di De Ligt non era meno aperto di quello di Cerri o di Zielinski: se la deroga contenuta nell’articolo vale in tutti i due casi, il Brescia ha un vittoria di troppo; in caso contrario probabilmente ce l’ha la Juve. Non si tratta di parteggiare per una squadra o per un’altra, ma di pretendere regole chiare e interpretazioni univoche. E qui sta il nodo dell’intera vicenda. Perché le regole non rispondono a un solo principio logicamente coerente, ma a criteri esperenziali in contraddizione tra loro.


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