La libertà di Antonio Conte

La libertà di Antonio Conte© LaPresse
Ivan Zazzaroni
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Conte l’ha imposto Marotta, Lautaro l’ha portato Ausilio, Lukaku l’ha voluto con la solita, irresistibile ostinazione Conte. Tutti e tre, pur se con differenti responsabilità, hanno mandato via Icardi. Ci sono momenti, come questo, in cui è giusto fare un po’ di ordine, possibilmente dando a Cesare quel che è di Cesare - confesso che non avrei mai immaginato di poter scendere così in basso, quanto a impiego di frasi fatte.

In quattordici giornate Antonio “Cesare” Conte, che forse non gradirà il nostro titolo (fa lo stesso: continuerò a considerarlo il miglior tecnico del momento ma con un carattere brutto come il peccato) è riuscito a guadagnare 8 punti sull’ultimo Spalletti, mettendosi dietro la Juve, e a risollevare la squadra in Champions. Naturalmente lungo il percorso si è lamentato di tutto e tutti, ha attaccato stampa, società, mercato, perfino i parenti lontani: alle accuse, alcune infondate e evitabili, ha però fatto seguire i risultati e fino a quando i risultati lo sosterranno potrà permettersi sfoghi di ogni tipo, almeno secondo Marotta.

In undici mesi Beppe “Cesare” Marotta ha mostrato al nostro calcio cosa voglia dire saper fare il dirigente, avere esperienza e buonsenso: gestire l’uscita di Maurito è stata un’impresa notevolissima, sopportare le sfuriate di Conte sacrificando la propria dignità per il bene comune, anche.

Infine Piero “Cesarino” Ausilio: il meno protetto dei tre si sta prendendo molte soddisfazioni grazie a Lautaro Martinez, nel quale ha creduto per primo quando il ragazzo - 60 partite nel Racing - non aveva ancora ventun anni. Scorretto sottovalutare il fatto che, pur se made in Appiano, l’uomo mercato dell’Inter ha dovuto lavorare per anni entro gli strettissimi confini del settlement agreement e con le lentezze della proprietà cinese.

Il sorpasso maturato ieri ha un significato enorme: nella storia di questa stagione il passato juventino di Conte è condizionante, qualcosa che lega e insieme oppone le due realtà. Un significato e un valore superiori al presente di Sarri e Ronaldo. Sarri ha peraltro ragione quando afferma che Ronaldo non è come gli altri: soltanto Messi, oggi, può essere paragonato al portoghese. E per un tecnico che deve gestire un’azienda individuale da oltre 100 milioni di dollari l’anno il compito è al tempo stesso semplice e complicatissimo. Complicatissimo quando l’azienda mostra le prime difficoltà: sono convinto che contro il Sassuolo lo avrebbe volentieri sostituito lasciando in campo Higuain, ma a dicembre una decisione del genere gli è permessa una volta, non due, poiché il bravo manager deve (e sa) soffrire oggi per poter godere domani.

L’Inter davanti alla Juve. E di segreti da svelare ce n’è pochi. Se non una certa propensione di Sarri a farsi fottere punti da squadre minori. Al Sassuolo non è riuscito quel che è riuscito al Napoli con il suicidio di Koulibaly: perdere una partita che meritava di vincere. Perché Juve-Napoli era un impasto di emozioni mediatiche; mentre Sarri ha accettato la sfida di De Zerbi, l’ha quasi gradita poiché Roberto parla la sua lingua, e l’ha sostanzialmente persa perché non gode della stessa libertà. E non può permettersi leggerezze. La chiave di lettura della sfida Inter-Juve è in fondo questa. La libertà. Nonostante i due Cesari con i quali deve condividere il lavoro, lasciandogli scomode responsabilità gestionali, Conte ha un vantaggio forse decisivo: la libertà.


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