Zaniolo, una lunga assenza

Zaniolo, una lunga assenza© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
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Il pianto. Immediato e inarrestabile. Le mani a coprirsi il volto. Un’immagine troppo simile a quella che il campo dell’Olimpico ci consegnò vent’anni fa: era Ronaldo, era il Fenomeno. La paura, le prime domande, le diagnosi emotive di ortopedici improvvisati, noi davanti alla televisione. Stati d’animo che raramente convivono con la speranza. La sentenza: crociato.

La sofferenza di Nicolò Zaniolo, un ragazzo di vent’anni pieno di sogni europei e talento, risorsa del calcio, viene prima di tutto. Anche di una partita che ha avuto numerose scosse: sembrava chiusa dopo il primo tempo, nel quale la Roma ha pagato troppo presto e duramente le distrazioni di Kolarov e Veretout e ha perso per l’appunto Zaniolo, la cui straordinaria cavalcata si è interrotta alla fermata Rabiot-De Ligt, sostituto di Demiral (autore dell’1-0 e infortunatosi dopo pochi minuti). Sembrava chiusa, dicevo, ma ha preso un’altra piega nella ripresa dove la Roma ha ritrovato sostanza, fluidità e creato opportunità sfruttando anche l’atteggiamento dei campioni che hanno investito su coperture, difesa bassa e controllo (Dybala il sacrificato in corsa, scelta obiettivamente discutibile).

La classifica vede di nuovo davanti la Juve, pur se con cinque punti in meno rispetto allo scorso anno. Prima, anche se in passato la sensazione di superiorità che trasmetteva era assai più netta; prima, anche se il campo - lo si è ripetuto tante volte in questi primi cinque mesi - ha dato risposte inattese a domande che in estate erano state evase. Prima, nonostante un’Inter più solida e in fiducia e una Lazio sorprendente per continuità e convinzione.

Conte, scosso da lampi di mai rassegnata ferocia, ha aggiunto se stesso e sette punti a una società che pende dalle sue labbra. Lui non ammette svogliatezze, né abbassamenti: ha combattuto contro le assenze, gli infortuni, ha però formato in tutti i sensi la coppia Lautaro e Lukaku, dato fiducia a Bastoni, rilanciato in parte Candreva. Più di un appunto e di una polemica sul gioco: non sono d’accordo con Sconcerti quando afferma che «ci sono ancora più solisti che squadra», mentre sottoscrivo questo suo passaggio: «Conte fa quel che può, come tutti nel calcio. Esistono i più bravi e tu devi difenderti, tutto qui. Poi butti la palla avanti».

Potenzialmente a un punto dall’Inter e a tre dalla Juve è la Lazio, ma solo perché la sua partenza è stata ordinaria; da metà ottobre ha espresso tutte le qualità sospettate e trovato una continuità insospettabile: Acerbi e Strakosha (per rendimento) i soli valori difensivi, poiché è dalla metà in avanti che Inzaghi può contare su risorse di qualità tecnica e forza: Leiva, Lulic, Milinkovic-Savic, Luis Alberto, Correa e Immobile non sono secondi a nessuno per chimica e soluzioni.

Prima la Juve, ma - per gusti personali - anche l’Atalanta, la squadra che mi ha divertito di più e più a lungo. Gasperini ha messo sotto nel gioco la stessa Juve (che a Bergamo l’ha in qualche modo risolta), l’Inter sabato sera (1-1, rigore evidente non concesso e rigore sbagliato da Muriel nel finale), la Lazio per un tempo (da 0-3 a 3-3) e la Roma (2-0 all’Olimpico). Ne ha dati cinque al Milan e altrettanti al Parma da trasferta.

Qualificatasi agli ottavi di Champions con un organico verosimilmente inadeguato, l’Atalanta ha giocato fin qui con coraggio, accettando i rischi che l’eccessiva intraprendenza comporta; la sua fase offensiva è invidiabile e le ha permesso di segnare 49 gol (2 e mezzo a partita) senza soffrire la lunga assenza di Zapata, straripante fino all’infortunio (ricordo ancora la domanda che circolava nelle redazioni e negli studi televisivi: «e adesso come farà là davanti con i soli Muriel e Barrow?»). Ma, soprattutto, è la squadra che ha avuto il rapporto peggiore con arbitri e Var: almeno sette grandi errori a sfavore.


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