Commisso, Fonseca e il commissario

Commisso, Fonseca e il commissario© ANSA
Italo Cucci
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Una cosa l’ho capita, qui in Italia il metro di arbitraggio non è uguale per tutte le squadre». Vorrei dire, parafrasando Brecht, “sfortunato il critico che ha bisogno di sostenitori”, perché evidentemente la sua parola non basta; ma nel caso, mi sta bene: se lo dice Paulo Fonseca, uno fuori della bagarre arbitrale, diciamo vergine di accenti favorevoli o contrari fino ai “cartellini di Sassuolo”, la mia denuncia del Sistema Arbitrale è corroborata da una testimonianza probante. Sì, l’ha detto Fonseca, senza alzare i toni, senza vilmente insinuare, forse anche con una punta di amara sorpresa. E stavolta non si può far finta di niente. Non gli si può dire «sarebbe meglio se tutti prendessimo un té prima di parlare» come dichiarò il pedatore ceco a Rocco Commisso con l’albagìa del cortigiano agnelliano.

Diciamolo papale papale: c’è qualcosa da cambiare, nel mondo arbitrale, moralmente raddrizzato da Calciopoli poi indebolito da anni di demenziale trionfalismo. A mio avviso la Var - il neonato sistema di giustizia arbitrale - non ha migliorato il calcio, al contrario l’ha peggiorato, sottraendogli le cure di uomini qualunque sorretti da passione - gli arbitri - trasformati in semplici utilizzatori di uno strumento di verità superiore. Quando non ci si accontenta dell’impegno di uomini onesti e disponibili (fino a prova contraria) a reggere un ruolo tanto delicato quanto utile, e si cercano correttivi fantasiosi, il rischio di sbagliare è forte: negli anni Cinquanta un arbitro corrotto (ne evito il nome, i suoi famigliari hanno pagato abbastanza le sue disonorevoli gesta) colto con le mani nel sacco, sollecitò nei dirigenti dal pensiero debole un correttivo che portò ulteriori danni, ovvero l’impiego di arbitri stranieri provenienti da Paesi dell’Est: essi non solo fecero cialtronate nell’immediato, più scorretti dell’italiano radiato, ma una volta respinti oltre frontiera lasciarono una disponibilità all’imbroglio continentale fin oltre i Settanta, almeno fino alla sparizione del ben noto faccendiere ungherese Deszo Szolti.

La Var ha sicuramente scongiurato errori arbitrali, ciò per cui era nata, ma privata di correttivi nell’uso, non nel principio, è riuscita a moltiplicare la confusione regolamentare, già attuata con stupida arroganza dall’Ente Supremo Ifab, e soprattutto ha privato di autorevolezza gli arbitri, riducendoli a manichini mossi da una macchina a sua volta manovrata - sempre lì torniamo - da uomini divinizzati. Ditemi: chi controllerà i controllori? È il peccato originale che si appalesa quando si rinuncia alla Fiducia. Chi se la prende con Commisso, e magari oggi con Fonseca, è in malafede: non tiene conto che costoro sono nuovi al nostro torneo e manifestano stupore - il fiorentino con rabbia, il romanista con relativo distacco - contornati come sono da dirigenti scafati, ormai abituati agli errori e abbarbicati alla speranza di una equa distribuzione dei medesimi o meglio a una fortunata acquisizione di favori. Tutto questo si chiama adattarsi al peggio sperando nel meglio. In quel “té” di Nedved (appreso dal tic di un telecronista così come Nicolò Carosio suggeriva “un wiskaccio”) c’è tutta la malandata filosofi a del pallone. La Juventus, ingiustamente tirata in ballo ogni volta, meriterebbe tutori più qualificati e convincenti visto che - come avevo modestamente previsto - la Var ebbe origine con due teste: l’una diceva «nasce per controllare la Juventus», l’altra «nasce per aiutare la Juventus». E a parte l’inghippo specifico, alla Var era stato attribuito il valore aggiunto decisivo di deterrente antirissa, un “calmante Murri” - noto cachet per automedicazione - che restituisse serenità all’ambiente. Il politico Tavecchio si fece infinocchiare proprio da questo dettaglio che gli sarebbe valso il titolo di Grande Pacificatore. Ma la rissa è degenerata in guerra. E l’AIA, a questo punto, deve essere affidata a un commissario. Chi? Stanno per pensionare Rocchi, il miglior arbitro: sia Rocchi. 


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