Astori, un'icona romantica di un calcio che unisce tutti

Davide è diventato una bandiera non solo dei tifosi della Fiorentina ma di tutto il mondo sportivo
Astori, un'icona romantica di un calcio che unisce tutti© ANSA
Angelo Carotenuto
4 min

Davide Astori è qualcosa che non avrebbe mai pensato di diventare. Un’icona. Non poteva desiderarlo per estrazione, per carattere, per un suo percorso personale di crescita, per una sua esigenza di verità. Ma Davide Astori è allo stesso tempo qualcosa di meno e qualcosa di più grande. È una traccia segnata. È un solco profondo. È una piccola orma in cui mettere i piedi. Un’icona ispira ma è lontana. Un’orma invece richiama, attira, condiziona. Dopo quel tremendo 4 marzo di due anni fa, la Fiorentina vinse cinque partite consecutive. Non c’era nessuna ragione tecnica perché accadesse. Esisteva un circuito sentimentale che si accese e che Pioli seppe attivare con una totale partecipazione emotiva tuttora riconosciutagli da Firenze.

Se intorno alla morte di Astori il calcio seppe sentirsi all’improvviso una comunità senza divisioni, la Fiorentina riuscì a scoprirsi addirittura una famiglia. I Della Valle tornarono in città e allo stadio, tornarono a immaginarsi un riferimento per un popolo scosso. Sono stati bravi, loro e tutta Firenze, a trasferire eredità e memoria di Davide Astori alla nuova proprietà. Astori sarebbe stato il perfetto capitano di Commisso, l’interprete ideale di una vocazione al calcio aziendale che non vuole rinunciare allo spirito e alla coscienza delle persone. Astori non è stato inghiottito in un vuoto. Avrà per sempre un minuto 13 nel quale penseremo a lui, avrà per sempre maglie che nessuno metterà più, a Cagliari come a Firenze, avrà compagni con le sue iniziali e il suo numero tatuato sulla pelle. La sua forza era quella di stare dentro il calcio in una maniera antica, perché in una maniera antica stava al mondo. Sono atteggiamenti che non restano isolati. Sono invisibili ma ingombranti. Sono silenziosi e fanno rumore.

Pensiamo spesso ai calciatori come prodotti da cliché. I soldi, le macchine, i capricci. È un’idea surf che abbiamo della maggioranza di loro, un’idea che si ferma in superficie. Tanti di loro chiedono solo di essere osservati con uno sguardo più ampio, per essere capiti. Sembrano i meno interessanti mediaticamente, sono i più veri come persone. È un mondo complesso, quello dei calciatori. Tiene insieme dentro uno stesso spogliatoio uomini molto differenti. Il veterano e il ragazzino, il silenzioso e l’esibizionista, il sessuomane e il casto, il credente e l’ateo. È un mondo assai cambiato, fatto di molti silenzi, abitudini noiose, tanta solitudine e tempo da riempire in qualche modo; fatto di trasferte in città che restano un aeroporto, un hotel e uno stadio; di colleghi che cambiano ogni anno e con i quali non si riesce a costruire un rapporto che si possa dire di confidenza, senza neppure spingersi a parlare di amicizia. Il calcio è quel gioco, scriveva Brera, per "i tipi più straordinari e impensati di questa terra: e tutti hanno avuto un momento, un giorno, un anno di gloria indimenticabile". Nella sua Fiorentina - ma non solo - dentro tutto il suo ambiente, Davide Astori scoprirebbe di essere diventato un amplificatore di sincerità, lui che amava la curiosità e i viaggi. L’India, il Nepal, il Perù.

Nella tragedia è diventato di tutti, come quei calciatori degli anni 70 che andavano in Nazionale e ti facevano dimenticare di quale squadra fossero la domenica. Non sapevano dividere. Non è solo per la suggestione dello stesso ruolo o dello stesso destino di morte prematura che Astori appare oggi una figura vicina a Gaetano Scirea. Un leader gentile, una persona rara, un calciatore disarmante. Sceglierlo come guida spirituale viene finanche facile. Tenere i piedi dentro le orme di Astori è un esercizio che pretende rigore e impegno, fatica, umanità.


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