Il calcio sembrava un paradiso terrestre, un’oasi nel deserto, un mondo inattaccabile persino dalla crisi economica che mette in ginocchio i lavoratori di ogni settore. Poi è arrivato il Coronavirus. Una pandemia anche per le tasche dei club: nessun incasso da stadio, merchandising azzerato, attività collaterali annullate, contratti in scadenza, broadcaster che si guardano bene dal pagare l’ultima quota annuale per i diritti televisivi. La terza industria del Paese, in grado di garantire allo Stato oltre 1 miliardo di gettito fiscale, rischia di fermarsi con una liquidità ai minimi termini. I calciatori sono dipendenti e come tali, per legge, andrebbero retribuiti lo stesso. Ma i presidenti di Lega hanno iniziato a sottoporre il problema: chi investe di più chiede ovviamente garanzie e tutele, chi investe di meno rischia di annegare.
Conti fatti
I club potrebbero valutare il taglio o la riduzione dei pagamenti per il pezo e aprile), uscirebbe fuori un bottino da circa 230 milioni senza contare la Serie B e la Serie C. A conti fatti, riducendo quindi del 15% il monte ingaggi, la Juventus risparmierebbe qualcosa come 50 milioni, l’Inter 24, la Roma 22, il Milan 20, il Napoli 17, la Lazio 12 e così via, fino ad arrivare a Brescia ed Hellas Verona, che spendono meno di tutte e si troverebbero tra le mani comunque un tesoretto da 4,5 milioni. Attenzione: quelle che abbiamo dato finora sono tutte cifre nette. Moltiplicatele per 2 (tassa in più, tassa in meno) per avere, in termini lordi, l’esatta dimensione del fenomeno.
Le posizioni
[...] Marco Tardelli, candidato alla presidenza AIC, la vede così: «Non credo sia obbligatorio chiedere ai calciatori di decurtarsi lo stipendio e non è giusto imporlo, ma rinunciare a qualcosa potrebbe essere un segnale di vicinanza per i tifosi e per i cittadini che soffrono».
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