Lotito diavolo o acqua santa?

Lotito diavolo o acqua santa?© Bartoletti
Ivan Zazzaroni
8 min

A chi si riferisce Guido Fienga, ad della Roma, quando al Corsera dichiara: «Stop ai furbetti. All’inizio qualcuno ha provato a prendere dei vantaggi su chi, in quel momento, era più debole »? E aggiunge: «Gli allenamenti di sportivi professionisti sono regolati da un decreto ministeriale in base a standard di sicurezza. I medici sportivi hanno dato indicazioni chiare: serve un mese di allenamenti per riprendere a giocare, da qui l’idea di ricominciare il 3-4 aprile. Però le date possono cambiare a seconda dell’evoluzione dell’emergenza. Prima di ripartire dovranno essere fatti controlli su tutti i calciatori».

Escluderei Claudio Lotito (e De Laurentiis), se è vero, com’è vero, che proprio sulla “ripresa degli allenamenti” il presidente della Lazio ha condotto una battaglia impopolare - per i più, inopportuna - ricevendo pesanti critiche da colleghi e non (Agnelli, Cellino, Cairo, il presidente dell’Aic Tommasi) e ritrovandosi isolato. Ma non è una novità.

Chi sono allora i furbetti? E chi sta spingendo affinché la Lega scelga la via della chiusura definitiva del campionato ‘19-20?

Parlare di calcio, in queste ore e con oltre 6.000 morti, è penoso anche per chi di calcio vive: ma il rispetto per il lavoro, per chi ci legge e per chi ci paga lo impone.

Dunque, chi avrebbe interesse a finirla qui? E Lotito è davvero il diavolo, come pensano alcuni, oppure ha semplicemente a cuore le sorti dell’intera serie A, oltre che quelle della Lazio seconda in classifica?

Il ragionamento merita di essere sviluppato prescindendo da qualsiasi forma di pregiudizio, simpatia o antipatia personale. Soprattutto oggi, giorno in cui la Lega si ritrova per fissare la nuova agenda e le strategie alla luce dell’evoluzione della pandemia.

Veritas filia temporis. La verità è figlia del tempo, per dirla alla Lotito. E allora proviamo a capire cosa o chi ha indotto il presidente della Lazio a mettersi di traverso. Premessa: l’Isolato Claudio è convinto di saperne più di tutti di gestione societaria - in effetti tanti glielo riconoscono -, rapporti istituzionali, tematiche fiscali, eccezioni regolamentari e, relativamente ai suoi colleghi presidenti, anche di medicina. Ha peraltro rapporti continui con la direzione dello Spallanzani di Roma, l’istituto nazionale per le malattie infettive che è un punto di riferimento nella lotta al Covid 19, e accede a informazioni di prima mano su dinamiche, effetti del contagio e interventi di contrasto.

Essendo un irrefrenabile dispensatore di certezze, se decidesse di parlare ci riferirebbe probabilmente delle sue convinzioni, molte delle quali condivise da esperti e ricercatori, in materia di virus, trasmissione e rapidità del contagio, virulenza del Covid 19 in rapporto a Sars e asiatica: potrebbe addirittura fornire una spiegazione anche sull’impiego dei cinquanta medici cubani (il Paese caraibico è all’avanguardia nello studio delle epidemie batteriologiche).

Ora, secondo Lotito la chiusura anticipata del campionato metterebbe a rischio fallimento il 70 per cento dei club e quindi lui starebbe lottando per il bene del sistema, non solo per se stesso e lo scudetto possibile (la cristallizzazione della classifica lo proietterebbe comunque in Champions). Una visione catastrofica o realistica? Lotito parte dal presupposto che la maggioranza delle società ha già speso (leggasi scontato) i soldi garantiti dai diritti tv, la principale fonte di ricavi, e che quindi non sarebbe in grado di sopravvivere a lungo al lockdown, neppure attraverso tagli diffusi.

Secondo la teoria “complottista”, che nel calcio non manca mai e alla quale non possiamo credere almeno stavolta, sarebbero le società più ricche a essere interessate alla chiusura anticipata: la Juve verosimilmente per riversare tutte le risorse sul campionato europeo o Superlega; l’Inter, che proprio ieri al termine della quarantena ha “liberato” i giocatori, per attenuare gli eff etti di un terzo posto non proprio esaltante (le restano tuttavia due coppe). A tal proposito Lotito non avrebbe gradito affatto un messaggio finito nella chat della Lega relativo alla presunta positività del sindaco di Formello, che vive a 6 chilometri dal centro nel quale si allena la Lazio. Chi l’ha inviato? A rafforzare la teoria degli interessi di parte sarebbero - indirettamente - anche le parole del presidente dell’Uefa Ceferin, il quale giorni fa disse che la priorità non sono i campionati nazionali, bensì le coppe. E quelle del numero 1 della Fifa Infantino, che di Ceferin non è esattamente un simpatizzante, riportate dalla Gazzetta: «Forse è l’ora di discutere una riforma del sistema, meno partite e più equilibrio». Meno partite e più equilibrio a scapito di chi?

Tema allenamenti: il fatto che calciatori professionisti restino fermi per oltre un mese e mezzo, sempre secondo Lotito - e non è il solo a pensarla così -, risulterebbe penalizzante sul piano fisico e prestazionale (per pudore, il deprezzamento è meglio non considerarlo). Di conseguenza, avendo a disposizione 24 ettari di prato e dodici spogliatoi, la Lazio, così come sta accadendo in Germania dove alcuni club hanno ripreso la preparazione, potrebbe far lavorare a gruppi di due l’intera rosa. Beninteso, nel più totale rispetto del protocollo sanitario.

Non c’è un filo di pietas, di riflessione etica, non c’è alcuna associazione - direte - in questi ragionamenti brutalmente cinici, al diffuso cordoglio. Ma avrete notato che di questi tempi le problematiche esposte dagli imprenditori, tutte rivolte al futuro, quindi alla vita, alla ripresa, alla ricostruzione anche morale di un Paese, sono autentici richiami alla responsabilità mentre si moltiplicano le prediche inutili. «Siamo entrati in un’economia di guerra» ha spiegato ieri a Radio Capital il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: «Il 70% del settore produttivo chiuderà. Dobbiamo garantire che i prodotti arrivino in supermercati e farmacie, ma da oggi dobbiamo considerare anche come far riaprire e riassorbire i lavoratori. Se il pil è di 1800 miliardi all’anno vuole dire che produciamo 150 miliardi al mese, se chiudiamo il 70% delle attività significa che perdiamo 100 miliardi ogni trenta giorni. L’economia non deve prevalere sulla salute, ma dobbiamo evitare che tantissime aziende rischino di non riaprire per crisi di liquidità».

Il calcio è un’impresa, si ricorda spesso che è la sesta o settima industria nazionale: a forza di chiacchiere la perderemo del tutto. Benvenuto a chi ha la lucidità di trattarne la sopravvivenza. Poi, volendo, potremo continuare a raccontarci gol, campioni, vittorie e sconfitte. Le favole che da cent’anni ci aiutano a vivere.


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