La sforbiciata

La sforbiciata© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Ecco, lo sapevo: ora mi tocca fare il sindacalista dei calciatori. La considero una punizione mefistofelica. Dopo giorni in cui ho sottolineato ripetutamente l’inconcludenza dell’associazione nata cinquantadue anni fa per tutelarli, l’Aic, e completato un interessante e civilissimo “posta e risposta” con Damiano Tommasi, mi ritrovo nello scomodo e impopolare ruolo di difensore dei diritti di qualche milionario. Ma attenzione, ne faccio solo una questione di principio.
Se vi va, seguitemi. Innanzitutto, complimenti al neopresidente Dal Pino che è riuscito a dare delle linee guida alle società di serie A. Se non sbaglio, è la prima volta che accade nella storia della Lega calcio: tutti uniti per creare un benchmark comune. Confesso tuttavia che nel preciso momento in cui ho letto che era stata raggiunta l’unanimità tra Lotito, De Laurentiis, Cellino, Preziosi, Marotta e gli altri quattordici ho avuto la certezza che si trattava di misure inapplicabili (e immotivate, oggi almeno).
Per onestà, sottolineo una volta di più che sono delle linee guida (giudicate inaccettabili dai calciatori) e che le società continueranno a trattare individualmente con gli interlocutori scelti dai player. I loro agenti. Vengo al punto. Questa è la parte del comunicato di via Rosellini che più ci interessa: «La Lega Serie A ha deliberato all’unanimità, con esclusione della Juventus che ha già raggiunto un accordo con i propri giocatori (hai detto niente, nda), una comune linea di indirizzo per contenere l’importo rappresentato dagli emolumenti di calciatori, allenatori e tesserati delle prime squadre. Questo intervento, necessario per salvaguardare il futuro dell’intero sistema calcistico italiano, prevede una riduzione pari a 1/3 della retribuzione totale annua lorda (ovvero 4 mensilità medie onnicomprensive) nel caso non si possa riprendere l’attività sportiva, e una riduzione di 1/6 (2 mensilità) qualora si possano disputare nei prossimi mesi le restanti partite della stagione 2019/2020. Resta inteso che i Club definiranno direttamente gli accordi con i propri tesserati».
Quattro mesi in meno se non si gioca, due se si riparte. Per inciso, sono interventi molto più pesanti di quelli decisi in Spagna e Germania: non so perché ma la cosa non mi sorprende.
Il comunicato impone alcune riflessioni. Le elenco in ordine sparso.
1) Non c’è un solo riferimento al taglio che si imporranno (ma se lo imporranno?) i presidenti con stipendio a bilancio e i dirigenti da 4 milioni netti in giù. In Germania la sforbiciata interessa tutti, amministratori inclusi.
2) Una base di riduzione così elevata è la conferma della malagestione delle nostre società: le poche in attivo, perché non usano le eccedenze per limitare i danni tutelando anche i dipendenti a tempo determinato?
3) Se ai giocatori sarà richiesto - come sembra - di giocare anche a luglio e inizio agosto, o addirittura a settembre-ottobre (Gravina) il lungo periodo di sosta forzata (per decreto governativo) verrà considerato alla stregua delle ferie godute? Altrimenti temo che qualcuno possa addirittura pretendere un’integrazione. E sai le risate…
4) Non dimentico che ai giocatori non è richiesto, per contratto, di tirar fuori un euro. La verità è che subodorando la ripresa quasi certa del campionato i club non vogliono perdere l’occasione di risparmiare due mensilità. In gergo giornalistico, si chiama solidarietà e comporta anche la riduzione dell’orario di lavoro. Dobbiamo aspettarci partite di 60 minuti?
5) A questo punto il rischio per le società è che anche le tv assumano le stesse linee guida, e allora sarebbero bitter birds. È vero che i contratti con le pay sono blindati, ma lo è altrettanto che alla fi ne decide sempre chi paga. Il match prosegue. L’augurio è che il virus ci venga incontro; o meglio, che si allontani il prima possibile per permetterci di tornare a vivere e a fare calcio come abbiamo sempre fatto. Oltre le nostre possibilità


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