All'ultimo sgambetto

All'ultimo sgambetto© ANSA
Alessandro Barbano
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In attesa che il ministro Vincenzo Spadafora ci regali l’ultima sua criptica profezia sul futuro del campionato, strappando un attimo di gloria nella tribuna di Fabio Fazio, dicendo che si potrebbe giocare ma anche non giocare, allenarsi oppure non allenarsi, come la sacerdotessa Pizia nell’oracolo di Delfi, un nuovo colpo di scena anima la vigilia del decreto governativo sulla fi ne del lockdown. Da una manina segreta spunta un documento di diciassette medici dei club, che boccia il protocollo sanitario della Figc, definendolo inattuabile. È l’ultima fake news di una guerra di posizione, giocata sugli equivoci e combattuta all’ultimo sangue, dentro e fuori dal calcio, dentro e fuori dallo sport. Il documento è una richiesta di chiarimenti già chiariti, roba vecchia, messa in giro ad arte per alzare nubi e scoraggiare una politica che già non brilla per coraggio. Cosicché gli stessi medici sono costretti a dire in una nota congiunta che “nessuno di noi è contrario a finire il campionato, anzi siamo tutti perché venga concluso”.

È una guerra di posizione, e si combatte sugli equivoci. Quello più potente è stato confezionato l’altro ieri nell’incontro tra il ministro dello Sport, la Figc e i medici della commissione tecnica: che succede se un calciatore risulta positivo? La domanda è caduta come una lama affilata sul sinedrio dei tanti, troppi sapienti. Chi pure ha fatto notare che in Germania tutto si risolve con due tamponi, ha trovato un burocrate pronto a ricordargli che la quarantena è lì, scritta in un decreto del governo, per mandare a quarantotto il campionato. E nessun protocollo, per robusto che sia, potrebbe derogare a un decreto. Così nell’assedio al fortino del calcio è cresciuta in queste ore la baldanza dei presidenti che vogliono farla finita. O perché ancora sperano di non pagare i calciatori e farsi pagare dalle tv. O perché hanno una paura dannata di finire in serie B. O ancora perché, in questo fuggi fuggi pandemico, hanno perso gli stranieri. Al loro fianco ci sono i virologi che fanno i politici e dicono: per me non si gioca, ma decida pure la politica al contrario, se ci riesce. E i politici che fanno i virologi. Come il ministro Speranza, il cui cognome è diventato un ossimoro: perché con lui la speranza di giocare è ridotta a un lumicino.

Se il fortino del calcio sarà espugnato, lo sapremo nelle prossime ore. Quando il governo stabilirà se la fi ne del lockdown il 4 maggio varrà anche per gli atleti, o se invece la ripresa degli allenamenti collettivi sarà differita di altre due settimane. In questo stillicidio di promesse e allarmi, il presidente della Figc Gabriele Gravina centellina i giorni che restano, come i viveri per i martiri di una cattedrale assediata. Prorogando al 2 agosto la dead line per la fine del campionato, spera di assorbire anche il colpo a sorpresa di un nuovo rinvio al 18 maggio. Che sposterebbe la data di ripresa delle gare al 17 giugno. Ma i viveri ormai scarseggiano, come l’ossigeno per lo scudetto.

Non sappiamo come finirà. Sappiamo però che questa guerra, che si combatte in mezzo alla guerra al virus, smentisce un luogo comune circolato nelle settimane del dolore: che dalla pandemia usciremo migliori. Neanche un virus come questo può scalfi re una certa classe dirigente. Che persegue il suo obiettivo di bottega: fermare il giocattolo e non fare prigionieri. Costi quel che costi. Anche se il primo prigioniero è il Paese. A cui si sta per negare la più grande e ultima fonte di emozioni. In queste condizioni la Fase due si annuncia come un purgatorio peggiore dell’inferno. Fateci uscire da questo brutto sogno. 


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