Samuel esclusivo: "Ripartiamo per noi e per la gente"

L'ex difensore di Roma e Inter ha dichiarato: "Impressionante l’entusiasmo per la Bundesliga, il calcio è importante"
Samuel esclusivo: "Ripartiamo per noi e per la gente"© Inter via Getty Images
Guido D'Ubaldo
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ROMA - Nel calcio ha vinto tutto, i tifosi lo chiamavano “The Wall”, il muro. Con Walter Samuel non si passava. Se lo ricordano bene gli attaccanti che ha affrontato. Corretto e cattivo, spietato e leale. Era da pochi mesi a Roma, in una partita contro la Juve all’Olimpico il 22 febbraio 2000, quando entrò su Filippo Inzaghi sulla linea del fallo laterale, da quel momento il centravanti è rimasto alla larga. Esattamente quattro anni fa ha chiuso con il calcio giocato e ha pianto, come pianse Totti, l’anno successivo. La commozione fece il giro del mondo nel vedere quel combattente con le lacrime agli occhi. Samuel ha vinto ovunque è andato, alla Roma e all’Inter soprattutto, ma anche al Basilea, dove ha finito di giocare. Oggi fa parte dello staff della Nazionale di Scaloni, vive con la famiglia a Milano e rientra in Argentina quando si raduna la squadra. In questa intervista esclusiva racconta che il calcio manca anche a lui: «Mi auguro che si torni a giocare per dare un po’ di gioia alla gente, è impressionante l’entusiasmo che ha scatenato la Bundesliga. Il calcio è importante, sicuramente il Governo e le autorità scientifiche hanno le loro preoccupazioni, ma mi auguro che si possa tornare a giocare per i calciatori, per la gente che lavora, mi auguro che ripartano anche gli altri sport. Mi sono accorto che guardando le partite in Germania la gente è contenta».

Mi racconta come è stato possibile che uno come lei abbia pianto il giorno dell’addio al calcio?

«E’ stato un attimo, sono crollato quando sono arrivati in mezzo al campo Aldair, Burdisso e un mio amico che viveva con me in pensione ai tempi del Newell’s. Per ognuno di noi è un colpo lasciare il calcio, anche se sono rimasto in questo mondo».

Oggi è nello staff di Scaloni alla guida della Nazionale argentina.

«La cosa che mi ha aiutato è stata aver avuto subito l’opportunità di fare l’allenatore, prima con Pioli, poi a Lugano e ora come collaboratore di Scaloni. Per me essere rimasto nel calcio è stato fondamentale, devo fare esperienza».

E’ rimasto a vivere in Italia.

«Abito a Milano, in centro, anche la mia famiglia è molto contenta qui. Quando c’è la Nazionale mi muovo e vado in Argentina, altrimenti seguo i nostri giocatori impegnati in Europa. Ora purtroppo li sento solo in video chiamata».

I suoi figli sono nati in Italia, lei ha messo le radici qui.

«Una a Roma e un altro a Milano, quello in mezzo in Spagna, quando sono stato un anno al Real. Io sono stato bene in quella esperienza e nel finale della carriera a Basilea, ma i periodi più lunghi e importanti sono stati in Italia, dove il calcio è durissimo, ma a me piace molto».

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In campo non si è mai risparmiato. Affrontava anche le squadre impegnate per la retrocessione come in una finale. La concentrazione è stata una delle sue armi migliori?

«In certe partite, contro le squadre considerate piccole, non puoi lasciare punti per strada, devi giocare sempre al massimo, perchè contro le grandi puoi rischiare di perdere qualche punto. Ho cercato sempre di fare il mio lavoro, il difensore deve difendere, anche se ho avuto anche la fortuna di segnare. Io dovevo aiutare la squadra a non prendere gol, al resto ci pensavano i centrocampisti e gli attaccanti».

Ha giocato con grandi campioni. A cominciare da Messi.

«Eravamo insieme al Mondiale del 2010 in Sudafrica. Poi ho avuto la fortuna di giocare con tanti altri campioni, l’elenco è lungo. A Roma c’erano Totti, Batistuta, Balbo, Aldair, Cafu. All’Inter tanti altri: Ibrahimovic, Milito, Eto’o, Zanetti. Per me è stato un piacere giocare con loro, ho visto fare cose impressionanti in allenamento e in partita».

A Roma ha vinto meno che a Milano, ma il sapore del successo è diverso.

«Sono soddisfazioni diverse. A Roma ero appena arrivato, non avrei mai immaginato di vincere al primo anno, non me l’aspettavo, perchè non conoscevo il calcio italiano. Oggi a distanza di quasi vent’anni mi rendo conto dell’impresa che abbiamo centrato. Essere uno dei giocatori che ha vinto uno dei tre scudetti della storia del club è motivo di orgoglio. Ho il rimpianto di non aver vinto di più, perchè potevamo farlo ancora, soprattutto l’anno successivo, avevamo una squadra fortissima. E oggi mi pento di essere andato via due giorni dopo il trionfo finale. Ero giovane, non mi rendevo conto. Mi sono perso la festa al Circo Massimo, è stata straordinaria».


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