Juve, Allegri ai confini della realtà

Juve, Allegri ai confini della realtà© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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La Juve attuale è riassumibile in una prima immagine, questa: Kulusevski e McKennie che intorno al novantunesimo, dalle parti della bandierina, chiudono per due minuti sé stessi e il Toro in un metro quadro, per far trascorrere tutto il tempo che manca al fischio finale. Si alternano nella difesa del pallone lasciandosi aggredire, accettano spinte, calcetti, conquistano altri due angoli, ma per la terza volta di seguito non calciano verso l’area di Milinkovic-Savic: proteggono il gol di Locatelli, il più lucido e continuo, che vale il successo nel derby e migliora classifica e umore.
     La Juve attuale è anche nella festa finale, quasi eccessiva, una sorta di liberazione simile a quella - giustificabile - provata pochi giorni prima in Champions col Chelsea. Ed è la stessa che nel primo tempo non tira nemmeno una volta in porta perché, dopo i primi otto minuti di prevalenza, subisce l’iniziativa e il coraggio del Torino.
     È stato necessario l’ingresso di Cuadrado - insostituibile al pari di Chiellini e Danilo - per Kean, troppo spesso in ritardo nei rientri e nelle sponde, per rivedere una Juve accettabile, più decisa e ottimista ma non trascendentale: stavolta le è mancato Chiesa, mai in partita, mentre Bernardeschi è salito di tono soltanto quando ha abbandonato la fascia destra, il terreno di caccia preferito dal Toro nella prima parte, per entrare di più nel gioco.
     Tra le principali virtù di Allegri c’è - mi ripeto nella stessa settimana - il realismo che, per dirla alla Caramagna, a differenza dell’illusione, non sa distrarci da ciò che siamo veramente: è onesto e crudele fino in fondo.
     Sono convinto che, per le ambizioni che coltiva e le urgenze che ha, la Juve non possa andare avanti a lungo con prestazioni del genere: ci sono peraltro giocatori che non hanno (ancora) lo spessore da top club, e non mi riferisco al valore tecnico: penso a Kean, a McKennie, allo stesso Kulusevski, comunque più vivo dei compagni quando è stato impiegato.

L’altro calcio di Ribery

Quando vedo giocare Ribery, che ad aprile compirà 39 anni, ho sempre la sensazione che giochi un calcio diverso da quello della maggior parte dei suoi colleghi di serie A. Non ha più l’autonomia di un tempo - ci mancherebbe -, si allena meno dei compagni proprio perché deve gestire i carichi e fare i conti con l’usura atletica, ma il pallone tra i suoi piedi continua a cantare. Lui lo difende con maestria, lo consegna con precisione, sente il gioco come pochissimi. Si esaurisce, infine. Ma è luce sempre accesa.


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