Inter-Juve, videokiller

Inter-Juve, videokiller
Ivan Zazzaroni
5 min

Var vede, Var non vede. A San Siro, quando mancano pochi secondi alla fine, Guida richiama l’attenzione dell’arbitro che va al video e punisce un intervento non visibile a occhio nudo di Dumfries su Alex Sandro assegnando il rigore che regala un punto alla Juve e ne toglie due all’Inter. All’Olimpico Di Bello non si accorge di un fallo in caduta di Viña su Anguissa e Roma-Napoli finisce 0-0. 

Sono gli effetti della chirurgia arbitrale e di una nuova discrezionalità. Sia chiaro: il “rigorino” di Milano c’era, così come ci sarebbe dovuto essere quello di Roma ma, certo, due episodi del genere riaprono l’infinita discussione sull’impiego della tecnologia, sull’influenza dell’uomo sulla macchina e su troppe spiazzanti diversità.



Temo che non ne verremo mai a capo: il calcio non riesce ad abituarsi a qualcosa e qualcuno che in passato non esisteva, a uno sport che ha perduto molte delle sue caratteristiche - alcune per fortuna, aggiungo - e oggi risulta realmente cambiato. La partita in sé è stata povera, il risultato frutto di un insieme di scherzi del destino. Potrei dire, ad esempio, che chi di uomo in meno perisce, di uomo in più ferisce. Nel giro di una settimana il calcio ha restituito a Simone Inzaghi quel che gli aveva tolto con la Lazio: il gol del vantaggio è arrivato infatti pochi istanti dopo che Bernardeschi, infortunatosi alla spalla e fuori dal campo, aveva chiesto ad Allegri di ritardare di un minuto la sostituzione. Tra nemesi e beffe, insomma. L’1 a 1 è comunque giusto eppure comprendo l’irritazione di Inzaghi e degli interisti che stavano riuscendo a portare a casa un successo importantissimo pur avendo rinunciato a giocare per tutto il secondo tempo. Anche la Juve ha fatto pochissimo per vincere e poco per pareggiare: ha dei limiti imbarazzanti in attacco. Abituata da tre anni a veder risolvere le gare da Ronaldo, si ritrova costretta a puntare su Morata, su Kean, che non gode della fiducia del tecnico, oppure su invenzioni alla livornese, che non sempre portano gioia. Allegri ha rinunciato all’inizio a Chiesa, affaticato, e Dybala, al rientro. Non appena i due sono entrati la Juve è sembrata un po’ più credibile. Ma non da scudetto, lontano dieci punti. 

Rocchi e i suoi fardelli

L’invettiva di Gasperini, cacciato nel finale di Atalanta-Udinese: «Gli arbitri rappresentano un grande problema, la devono smettere: ci mettano la faccia e vengano a spiegare le loro decisioni in tv». Anche Mourinho il dicotomico e Spalletti si sono detti sorpresi dalle rispettive espulsioni. La scorsa settimana Mihajlovic non era ricorso a perifrasi, parlando esplicitamente di compensazione e di una sostituzione suggerita dal timore che Abisso mostrasse il secondo giallo a Svanberg dopo un’ammonizione inesistente. 
Il chiarimento a microfoni aperti del direttore di gara nel post-partita non rappresenta una soluzione, ma un ulteriore casino, così come non ha alcun senso che lo stesso vada in tv a spiegare un errore commesso tre anni prima (Orsato). Un’iniziativa efficace potrebbe essere, il martedì, la lettura del “dispositivo delle sentenze (decisioni arbitrali)” da parte di una commissione dedicata dell’Aia.

Gianluca Rocchi è alla prima stagione da designatore di un settore vagamente angoscioso proprio perché chiuso e ha il dovere di pensare al futuro senza trascurare un solo aspetto del presente - impresa titanica -: la sensazione è che lavori con una nuova generazione di arbitri ancora acerbi (i giovani Ayroldi, 29 anni, Marchetti, 32, Camplone, 32, Massimi, 33, Volpi, 33, e Sozza 34) e che nel frattempo sia costretto a gestire, spesso coprendole, le magagne dei più esperti Orsato, Irrati, Pairetto, Abisso, Massa, Chiffi e Guida. 
 
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Dopo 45 minuti il Manchester United di Ronaldo - una Ferrari guidata come una Ritmo da Solskjaer - era sotto di 4 gol in casa col Liverpool, alla fine ne ha presi 5: sono convinto che Cristiano stia rimpiangendo Bonucci, Chiellini e anche Allegri. Oppure Ramos, Pepe e quell’Ancelotti che pochi minuti prima aveva vinto il “Clàsico”, perdippiù al Camp Nou. 
 
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Le lacrime del ventiduenne Quartararo, un pianto di gioia senza soluzione di continuità. E i balletti. La delusione di Bagnaia, gli uomini della Ducati che con un’eleganza controllata raggiungono il box Yamaha per complimentarsi con il nuovo campione del mondo della Motogp e il suo staff, il red carpet, il giallo dominante di Misano, l’irrinunciabile commento di Guido Meda, che il rock della pista ha reso pop: molto del merito va attribuito a Valentino Rossi che mi ha costretto a seguire il gran premio, io che le moto non le amo. 

Sopra tutto e tutti, le parole di Paolo Simoncelli che il 23 ottobre del 2011 perse il figlio ventiquattrenne: «Ancora oggi, quando la gente parla di lui, lo fa con il sorriso stampato sul viso. Eppure a volte Marco mi faceva incazzare». Sabato Meda mi ha raccontato dell’incontro con il Papa e di quando, toccando il crocefisso portato al collo dal Pontefice, papà Simoncelli disse: «Quel signore lì un giorno mi ha fatto incazzare». 
Bergoglio l’ha abbracciato.


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