Non si capisce più una mazza

Non si capisce più una mazza© BARTOLETTI
Ivan Zazzaroni
6 min

Dall’ammonizione a Ibra in poi Maresca ha compiuto una lunga serie di scelte sbagliate. A partire dal rigore concesso al Milan. Non tutti i contatti in area sono punibili: questa, in settimana, era stata l’indicazione dei vertici arbitrali. Sono da fischiare solo i rigori seri, aboliti i rigorini. Puntualmente, nella partita più importante della giornata, un normale contatto anca contro anca Ibañez-Ibrahimovic precedente all’intervento sul pallone del difensore, è stato ritenuto falloso da Maresca che l’ha confermato nonostante la segnalazione e i dubbi del varista Mazzoleni. Lo 0-1 è diventato 0-2 e l’arrembaggio finale della Roma, oltretutto con il vantaggio dell’uomo in più, ha prodotto giusto il gol di El Shaarawy e nessun punto.

Sia chiaro: per una settantina di minuti il Milan ha meritato il successo, giocando con maggiore personalità e imponendo alla Roma una condotta difensiva. Alla squadra di Mourinho è stata però negata la possibilità del recupero.

Siamo finiti dentro un calcio le cui disposizioni arbitrali cambiano di settimana in settimana: quello che era buono ieri non lo è più oggi e quello che va punito oggi non lo sarà probabilmente domani: mi riferisco anche all’intervento di Kjaer su Pellegrini nel finale, un tocco identico a quello di Dumfries su Alex Sandro di domenica scorsa.

Mi secca partire di nuovo da una decisione arbitrale sbagliata e influente, non riesco tuttavia a fare diversamente. In troppe occasioni sono gli episodi a decidere, anche in questa la “regola” è stata rispettata. La conclusione è che non si capisce più una mazza: e non sarebbe niente se la confusione riguardasse chi, come noi e il pubblico, osserva. Il guaio è che i primi a essere andati nel pallone sono proprio i direttori di gara.

Del Milan potrei dire tutto il bene possibile: è in fiducia, crede nelle cose che fa anche quando non è particolarmente brillante. Ibra è ormai il leader di soluzioni, Kjaer un regista difensivo invidiabile.

Il giudizio sulla Roma non lo cambio di una virgola, rispetto a quello di settembre: i due esterni difensivi non sono di livello, un centrale di centrocampo serve come il pane, Pellegrini è l’indispensabile. Il più involuto è Abraham, che sembra abbia perso i tempi e le misure del nostro campionato.

PS. Non mi sorprenderei se giovedì vedessi in campo col Bodo Glimt i quattro messi a bagnomaria da Mourinho dopo l’1-6 in Norvegia: pena scontata, adesso vediamo se avete capito l’antifona. Il suono della campanella, lezione finita.

Allegri, il gioco e il giochino

Le ho lette e sentite tutte. Sentenze inappellabili. Il processo non ha risparmiato nessuno: del resto, quando dopo undici giornate la Juve ha meno della metà dei punti di chi è in testa e gli stessi delle risparmiose ma degnissime Verona e Empoli, sotto accusa devono finire la società, la squadra, l’allenatore, i match analyst, i massaggiatori, il cuoco, l’autista del pullman, i giardinieri della Continassa e anche le mogli e le fidanzate. La distribuzione delle colpe è soggettiva. Pur facendosi carico del disagio e di una tensione che resta dentro, Allegri ha indubbiamente delle responsabilità, le solite accuse di non-gioco (avrebbe fatto meglio ad andare a Madrid, ad esempio): lo assolverei soltanto se non lo considerassi il grande allenatore che è.

Due le evidenze: così com’è, la Juve ha tutto per battere Empoli, Sassuolo e Verona. O quasi: perché per corsa, intensità e determinazione (fame) si è dimostrata inferiore alle squadre di Andreazzoli, Dionisi e Tudor. Sul piano delle individualità - ecco il secondo punto - è invece inferiore a Inter, Napoli e Milan. Semplificando, prendo l’Inter e mi affido per la seconda volta in una settimana al confronto tra i singoli, un giochino praticato da tanti appassionati e meno stupido di quel che potrebbe sembrare. Analizzando Juve e Inter dalla metà in su, chi è più forte, secondo voi: Perisic o Kulusevski?, Barella o Locatelli?, Calhanoglu o Rabiot?, Brozovic o Arthur?, Lautaro o Chiesa?, Dzeko o Morata?, Sanchez o Dybala?, Correa o Kean? A casa mia finisce 7 a 1, dove il punto per la Juve lo segna Dybala. E ho trascurato Vidal, Sensi, Vecino...

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L’addio di Napoli a Giulio Germaniesi, il dottore, un grande uomo di televisione. Era un amico che appariva e spariva, capace di avventurarsi in quella zona grigia che se ne sta nascosta sotto ogni nostra azione e ambizione: era furbo, complicato, geniale, bugiardissimo anche, ma pur sempre una persona alla quale ho voluto bene e che mi ha fatto crescere. Un visionario.

Germaniesi era l’editore e il produttore di Canale 34 (Telenapoli). Creò programmi di successo non solo in Campania, quali Number One, con Maradona, Number Two, TeleGaribaldi, Pirati. Lanciò comici quali Alessandro Siani, Biagio Izzo, Lino D’Angiò, Gigi e Ross, i Ditelo voi, Peppe Iodice. Nei suoi talk calcistici sono transitati, come conduttori, opinionisti o fi gure di primo piano, Italo Cucci, Giorgio Tosatti, Marino Bartoletti, Antonio Corbo, Mimmo Carratelli, Giampiero Mughini, Mario Sconcerti, Gianni Di Marzio, Maria Teresa Ruta, Serena Autieri, Elisabetta Gregoraci e tanti altri.

Germaniesi faceva la più nazionale tra le tv private. Non è morto: si è nascosto per sempre.


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