Sarri ha rivisto il suo Napoli

Sarri ha rivisto il suo Napoli© FOTO MOSCA
Ivan Zazzaroni
4 min

Maurizio Sarri ha rivisto il suo Napoli dalla panchina sbagliata dello stadio giusto. Proprio quel Napoli, l’orchestra sinfonica delle 28 vittorie e dei 91 punti. Un’autentica nemesi, per l’allenatore della Lazio che ha raccolto meno appunti e più gol del previsto, subendo il possesso di gestione più efficace, agevolato da movimenti che egli stesso aveva fatto ripetere centinaia di volte, oltre a un Insigne più in palla che mai sulla corsia di sinistra e alla sua invenzione tattica, Mertens centravanti, in vena di colpi maradoniani.

Il primo tempo della squadra che Spalletti ha dovuto presentare nella versione extralight (gli infortunati Osimhen e Anguissa sostituiti da Mertens e Lobotka) è stato eccezionale per volume, qualità e precisione. Riaffermata la solidità della difesa: il Napoli ha peraltro la migliore del campionato con 7 gol, Inter e Roma lo seguono con più del doppio, 15.

Con queste premesse, esercizio fin troppo complicato, per la Lazio, l’uscita dallo stordimento provocato dall’uno-due nei primi dieci minuti. Spaccanapoli si è così trasformata in Scappanapoli: breve come il tempo del doppio vantaggio si è rivelato il passaggio dal timore dei possibili effetti negativi che avrebbero potuto produrre le assenze di Osi e Anguissa al tentativo di fuga solitaria.

Una fuga favorita dalla domenica alla rovescia del Milan che è riuscito a essere perfetto anche nell’imperfezione. Inequivocabili i segnali: trascorsi i due mesi di stop, è tornato Maignan, invocatissimo specie dopo le quattro pere incassate da Tatarusanu a Firenze, e ne ha prese tre; Ibra, il tutor scudetto, l’obiettivo raggiungibile, ha finito i novanta minuti entrando da protagonista nella sconfitta più meritata e amara: San Siro era pieno di gente, ottimismo e speranza; Pioli ha festeggiato il rinnovo del contratto scivolando sul pavimento di casa; Romagnoli ha realizzato il suo primo gol stagionale e sull’1 a 3 ha pensato bene di lasciare la squadra in dieci; a Kjaer hanno attribuito un’autorete che grida vendetta (dettaglio ininfluente) e insomma la stessa lezione di calcio che Pioli aveva impartito all’Atletico quattro giorni fa in Champions gliel’ha servita calda calda il Sassuolo, superiore in tutto: possesso palla, attenzione, lucidità, freschezza atletica e coraggio.

Il vecchio Max Allegri

Leggo e sento ripetere che Allegri è vecchio perché gioca vecchio: quando vinceva l’ultimo dei sei scudetti, cinque di fila, era un ragazzo di 52 anni ma giocava comunque vecchio. Per qualcuno anche l’Inter di Conte giocava vecchio - organizzazione superdifensiva e contropiede -; al contrario, quella di Inzaghi gioca giovane. La gente ricorda l’Inter del Triplete, realizzato quando Mourinho ne aveva 47, principalmente per l’impiego da terzino sinistro di Eto’o (la memoria fa brutti scherzi a vecchi e giovani). Anche i numeri sono vecchi, anzi antichi, ma contengono elementi di saggezza, e allora noto che la Juve ha beccato un solo gol più dell’Inter, ma ne ha fatti 16 di meno. Anche la storia del calcio è vecchia come lo sono la verità e le bugie: se non hai un attaccante che segna almeno venti gol in un anno, sono amari. Sarebbero utili anche centrocampisti in grado di provarci da fuori. Il dato più allarmante è quello dell’imprecisione: soltanto la Roma del vecchio Mou, che alla vecchia (maniera) ha battuto il Toro, possiede una mira peggiore della Juve: 104 tiri fuori dallo specchio contro 91.

PS. Ieri stavo vivendo la solita domenica di tensioni e passioni in redazione quando, seguendo Chelsea-United, ho visto Jorginho avvicinarsi al dischetto per la prima volta dopo gli errori in Nazionale: ha trasformato il rigore con invidiabile sufficienza. E mi ha cambiato l’umore.


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