Dzeko e Zaniolo, com'è diverso il destino

Dzeko e Zaniolo, com'è diverso il destino
Alessandro Barbano
3 min

Chiamarsi Dzeko, o Zaniolo, suggerire con uno scatto un passaggio smarcante, con l’aspettativa fondata di giungere all’appuntamento con il pallone, o piuttosto con lo scoramento di chi sente in anticipo vano il suo sforzo. Chiamarsi Dzeko, o Zaniolo, e mostrare plasticamente quant’è diverso il destino di un attaccante che abbia alle spalle Brozovic, Barella e Perisic, o piuttosto Oliveira, Veretout e Karsdorp. Che si senta costantemente al centro di una geometria condivisa, o piuttosto che avverta tutto intero il peso di una solitudine cosmica. Chiamarsi Dzeko, o Zaniolo, e raccontare l’autorevolezza dell’Inter e gli insormontabili limiti della Roma. Il quarto di Coppa che rilancia i nerazzurri è una Tac del divario che c’è tra la capolista e quasi tutte le altre, Milan compreso. Non è imbattibile, l’Inter, come dimostra il capitombolo di San Siro, e come confermano ieri i primi venti minuti della ripresa, quando la squadra si allunga oltre il dovuto, e i suoi meravigliosi corridori pagano il prezzo di qualche azzardo agonistico. Ma stavolta Inzaghi non fa l’errore di disarmare la mediana al sessantesimo, e la rete del centrocampo tiene il passo, disarticola la timida reazione romanista, e la spegne poi con la fionda di Sanchez.

Al netto di questa intermittente fragilità, la capolista esprime una compattezza e accelerazioni che non hanno eguali in serie A. I primi dieci minuti della gara con la Roma ne sono un esempio. La squadra di Mou è ancora un’incompiuta e lo sarà fino a fine stagione, perché la diversa caratura tecnica dei giallorossi parla con linguaggi diversi, e spesso approda all’incomunicabilità. Di fronte al pressing dei nerazzurri il possesso palla per la retroguardia giallorossa è vissuto con una timidezza che somiglia al panico, e che è inaccettabile per una squadra di vertice. La preoccupazione di fallire il passaggio prevale sul coraggio delle verticalizzazioni, che pure potrebbero sfruttare l’agilità del centravanti inglese e la potenza e la classe del trequartista che lo affianca. Ma Abraham e Zaniolo constatano di continuo quanto inutile e oneroso sia il tentativo di smarcarsi, quando poi le probabilità di ricevere il pallone sono vicine alle zero. Mkhitaryan senza Pellegrini è un ispiratore dimezzato, Oliveira e Veretout non fanno la metà di Brozovic e Barella. Il calore di San Siro veste di nostalgia la trasferta di Mourinho, e fa più pesante la consapevolezza di guidare un gruppo a cui non basteranno la sua carica e le sue ispirazioni tattiche. La nuttata, che ha da passà, è lunga tutta la stagione.

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