Arbitri, il fattore A può decidere la volata scudetto

Arbitri, il fattore A può decidere la volata scudetto© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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Decide il fattore A, dove A sta per arbitri. A sei giornate dal termine lo scudetto sta nelle loro mani. Possono lasciarlo scivolare verso la pendenza naturale del merito sportivo. Ma se sbagliano, anche una sola volta, possono decidere chi vince. Vediamo perché. Milan, Inter e Napoli stanno in uno spazio effettivo di due punti, tra i 68 del Milan e i 66 del Napoli, e in uno spazio potenziale di tre punti, tra i 69 dell’Inter e i 66 del Napoli, se si considera l’ipotesi di un vittoria di Inzaghi nel recupero con il Bologna. Lo scatto finale è una galoppata tra cavalli quasi appaiati. Se l’Inter le vince tutte, si porta a casa lo scudetto con 87 punti. Se l’en plein lo fa il Milan, chiude a 86 punti, e in tal caso l’Inter deve aver pareggiato almeno una gara, chiudendo a 85. Se tocca al Napoli, lo scudetto sta a quota 84, ma in tal caso il Milan con almeno un pareggio deve essersi fermato a 84 (perderebbe per differenza reti, +5 per il Napoli, salvo ribaltoni) e l’Inter deve averne persa almeno una e pareggiata un’altra, fermandosi a 82, poiché con una sola sconfitta, a 84 punti, vincerebbe sul Napoli, grazie al vantaggio negli scontri diretti. Insomma, sarà uno scudetto sul filo di lana. Non è escluso che la soglia del titolo sia più bassa, poiché se proiettiamo il ruolino di marcia della capolista Milan (68 punti in 32 gare) sul totale del campionato (38 gare), lo scudetto si colloca a 80,7 punti. È ovviamente il risultato di una proporzione aritmetica. Se fosse questa la soglia del primato, perfino la Juve, che è a quota 62, potrebbe sfiorarla vincendole tutte, e portandosi a 80 punti.  

Ma è probabile che nelle sei partite finali le tre rivali in lotta si producano in un’accelerazione, avvicinandosi almeno a quota 83-84 punti. Com’è probabile che la classifica veda due o tre squadre quasi appaiate in cima, e che lo scudetto sia decretato da una differenza di un punto o, addirittura, dal saldo degli scontri diretti. Un errore arbitrale in questa fase finale per le squadre di vertice può valere un punto, se trasforma una sconfitta in un pareggio, o viceversa; e può valere due punti, se trasforma un pareggio in un vittoria, o viceversa. Per fortuna non può valere tre punti, essendosi conclusi tutti gli scontri diretti. Tuttavia, in una classifica così stretta, due punti, e perfino un punto, possono risultare decisivi. 

Questo per dire che il finale di stagione chiama gli arbitri a una responsabilità speciale. Soprattutto nella gestione di quel rapporto delicatissimo tra direttore di gara in campo e responsabile della sala Var. È nella competizione, o piuttosto nello scaricabarile tra i due, che si annida la maggior parte degli errori di questo campionato. Fino a quando non sarà consentito alle due squadre, e cioè agli allenatori, di chiamare il Var in un numero di volte limitato per tempo, cioè di pretendere che l’arbitro verifichi alla moviola i casi più controversi, c’è il rischio che la tecnologia si riveli inutile o controproducente. Perciò, a sei turni dal termine vale più di ogni cosa l’invito rivolto dal presidente della FIGC, Gabriele Gravina, a verificare tutte le azioni di gioco su cui sorge un dubbio o una contestazione. Gli arbitri non cedano alla tentazione del decisionismo, o alla paura di vedere smentite le proprie decisioni, e di perdere perciò credibilità agli occhi del designatore. Meglio una correzione in campo, che un errore che passa in giudicato e falsa il campionato. Rocchi lo spieghi forte e chiaro ai suoi ragazzi: nelle sei giornate che mancano non si può cedere alle emozioni. Meno che mai alle frustrazioni. 


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