Fiorentina-Napoli: vince la tattica, cioè Italiano

Fiorentina-Napoli: vince la tattica, cioè Italiano© LAPRESSE
Alessandro Barbano
4 min

L’acme del tatticismo tra Fiorentina e Napoli ci consegna l’ammucchiata. Sei squadre a sette punti, nessuna perfetta, neanche la fantasiosa brigata di Spalletti, che s’imbriglia nella rete viola con l’ingenuità di un pesce affamato, e scopre quanto vana può essere la capacità di sgusciare, se l’avversario ti tiene novanta minuti il fiato sul collo, costringendoti a giocare spalle alla porta. La scelta di Italiano è obbligata. Ha una difesa con due centrali invidiabili - Quarta al fianco di Milenkovic non è da meno del serbo -, uno straordinario marcatore di fascia come Dodo, il primo a far capire a Kvara che vuol dire giocare in una Lega Top. Ha un centrocampo con un gigante, Amrabat, tornato sui livelli di Verona e forse, di fronte all’appannamento di Brozovic e alla convalescenza di Tonali, il miglior regista del campionato italiano. Ma non ha un attacco. La Fiorentina gioca senza un intero reparto. Jovic è un fantasma sovrappeso - che è già un meraviglioso paradosso, vista la materia eterea di cui son fatti i fantasmi -, Ikoné pare uno straniero in crisi di identità, e Sottil è quello che è sempre stato fin qui e, forse, sempre sarà: un palleggiatore lezioso e parzialmente inconcludente. Con una squadra così, un tecnico intelligente che affronti questo Napoli fa ciò che ha fatto Italiano. Preoccuparsi anzitutto di fermarlo. E ci riesce, perché il vincente tra lui e Spalletti in questa gara di nervi è lui.



Ma la vittoria tattica ha un prezzo altissimo: il sacrificio del miglior giocatore, Amrabat appunto, in un ruolo onerosissimo, quello di guastatore della fonte raziocinante del gioco azzurro. Il marocchino ha la consegna di seguire Lobotka fin dentro la sua area di rigore, per impedirgli di impostare il gioco e schiacciare così il Napoli nella sua metà campo. E che cosa dovrebbe fare il Napoli per reagire a un pressing asfissiante? Avrebbe due chance: liberare Zielinski in mezzo al campo nello spazio lasciato vuoto dall’arretramento del regista slovacco. Ma il polacco, si sa, ha giornate e giornate, e ieri non era una delle sue migliori. Oppure potrebbe, il Napoli, puntare sulle sgroppate di Osimhen, ma non ci prova con convinzione. Un po’ perché il rinvio di Meret è l’esatta metà di quello di Maignan, e non arriva a centrocampo. Un po’ perché il nigeriano ha un osso duro alle calcagna come Milenkovic, che ha la sua stessa fisicità e un po’ di esperienza in più.

Questo per dire che non poteva che finire com’è finita. Con un pareggio che lancia ai due tecnici e alle due società messaggi diversi. La Fiorentina è una squadra incompleta, non può pensare di affrontare la serie A senza attaccanti di ruolo adeguati. Non si tratta di sentirsi orfani di Vlahovic, ma tra Vlahovic e Jovic - lo stesso può dirsi di Cabral - c’è di mezzo una galassia. Il Napoli è una squadra immatura, ancorché tecnicamente molto dotata. Non può pensare che gli avversari le consentano sempre di esprimersi nelle condizioni migliori, liberando il suo estro nelle linee permeabili di squadre modeste. La Fiorentina quelle linee le ha coperte con una diligenza impeccabile e il Napoli ha imparato ieri che la creatività non basta. Ci vuole la capacità di cambiare schema e sorprendere in un modo alternativo. Quel modo ancora non c’è.
Un’ultima annotazione riguarda Meret. Ha bisogno di sentirsi il titolare prescelto, o piuttosto ha bisogno di un’altra squadra dove sia riconosciuto per quello che è stato fino a qualche tempo fa, un raro talento tra i pali. E più di tutto ha bisogno di uno psicologo.


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