Posch esclusivo: "La mia Bologna tra Europa, Arnautovic e..."

Tre reti da difensore, ha esordito in A proprio con la Fiorentina: "È stata la svolta per me e per la squadra. Ero una punta, per questo ho conservato l'istinto del gol"
Posch esclusivo: "La mia Bologna tra Europa, Arnautovic e..."© FOTO SCHICCHI
Giorgio Burreddu
10 min

Stefan Posch sembra tracciato con la squadra. Zigomi e mascella a spigoli, occhi come fessure. Se non fosse un difensore d’acciaio probabilmente farebbe l’attaccante per davvero. «L’ho fatto fino a quattordici anni. Poi mi hanno spostato a centrocampo, quindi esterno di centrocampo, poi in difesa. Prima terzino, più tardi centrale». Strana la vita. Soprattutto per uno arrivato con l’etichetta di signor nessuno (Mihajlovic disse «Posch? Non lo conosco»). Oggi, a conti fatti, è Stefan l’uomo-gol per antonomasia. Tre (contro Torino, Udinese e Spezia), tutti decisivi. «Mi sto divertendo, Bologna è bellissima e stiamo giocando un bel calcio». Schiena dritta, inglese fluentissimo. L’italiano ancora no. «Difficile, difficile», scherza con Di Vaio affacciatosi all’ufficio. Posch è di quelli che capiscono i momenti e sa che certi attimi vanno sfruttati. Qualità vitale sul campo di gioco non meno che nella vita. Lui sorride: «In Italia ci sono arrivato nel momento giusto, sono contento della mia scelta». Casteldebole è un via-vai, si percepisce fermento. Sarà che è ora di pranzo.

Com'è la vita da bomber?
«Mi sento bene. Sono davvero contento di aiutare la squadra. Sono stati gol importanti. Ed è una sensazione molto bella ogni volta. Spero di poterne fare ancora tanti. Non mi era ancora successo in carriera».

Sognava di fare l’attaccante?
«Sì, da piccoli tutti vogliono fare gli attaccanti. Perché si fa gol, questo è il desiderio. Ma il sogno principale era diventare un professionista nel calcio».

Chi erano i suoi idoli?
«Tutti, ma sicuramente Thierry Henry e anche Samuel Eto’o. Da piccolo guardi un po’ tutti. Loro due però andavano forte».

Quello con lo Spezia è un gol d’istinto puro, da attaccante vero.
«C’erano già stati due calci d’angolo e speravo che la palla arrivasse. Ero pronto, e fortunatamente è arrivata. Quando l’ho vista non ci ho pensato molto, a quel punto è stato l’istinto. Ho calciato molto bene».

Adesso c’è la Fiorentina. Per lei è stato anche l’esordio in A. Che significato ha adesso?
«Mi piace ricordarlo perché è stato un momento speciale. Ero davvero felice di giocare e credo di aver fatto una buona partita. Era stato un momento importante: non andavamo bene».

Ora è completamente diverso.
«Sì, siamo in una posizione diversa. Sappiamo che quella di Firenze è una partita difficile. Ma abbiamo fiducia. Possiamo vincere se giochiamo come l’ultima volta. Ci crediamo».

Lei pensa che questa squadra possa arrivare davvero in Europa?
«Penso di sì. C’è davvero tanta qualità nel Bologna. Se ognuno dentro la squadra gioca al massimo, al top delle sue possibilità, l’anno prossimo possiamo giocare a livello internazionale. Ma penso anche che sia presto per parlarne. Mancano ancora diciassette partite. Ci sono tanti punti in palio. È una strada difficile, ma abbiamo le qualità per riuscirci».

Cosa cambierebbe giocare le coppe europee?
«Più partite, più palcoscenici internazionali e contro squadre difficili. Anche la stagione sarebbe più tosta. Sarebbe bellissimo per la città, per l’atmosfera che si verrebbe a creare attorno al Bologna. E poi è quello che vogliono tutti i calciatori: giocare ad alto livello. Sono convinto che sia l’obiettivo di tutti».

Udinese, Fiorentina, Torino: chi vi preoccupa di più?
«Tutte. Anche la Juventus. Sicuramente Torino, Fiorentina. È difficile da dire. Lo abbiamo visto nell’ultimo weekend: squadre che stanno più in basso in classifica hanno fatto risultati con quelle più in alto».

Stare sopra la Juventus può essere già un traguardo.
«Sicuramente. Ma non sarà facile».

Con chi ha portato avanti la trattativa?
«In estate si erano create alcune condizioni. Negli ultimi giorni si è presentata l’opportunità del Bologna. Sartori e Di Vaio hanno portato avanti la trattativa. Ho pensato che fosse il momento giusto di venire in Italia, fare un’esperienza in A».

Thiago Motta che cosa vi sta dando?
«Penso che stiamo giocando veramente un grande calcio. Lui è stato un grande giocatore, un vincente, un top player, ed è così anche da allenatore. Prepara le partite in modo impeccabile, ci fa relazioni dettagliate sui nostri avversari. Ci spinge a dare il massimo in allenamento. È un’ottima persona. Ti chiede il massimo, il cento per cento».

Che rapporto ha con lui?
«Buono, è una persona con cui si può parlare e che ascolta. Anche questo è decisivo per un giocatore».

Vi trasmette una mentalità vincente.
«Sì. Molto. Chiede questa mentalità a ogni giocatore. Uno si deve allenare bene. Se non vede questo, ti chiede di lavorarci. E' una caratteristica molto positiva, mi piace. Serve al gruppo».

Che gruppo è questo?
«Speciale. Quello che fa più casino è Orso, ma anche Arnautovic è uno che scherza. Io cerco di parlare, ma soprattutto in campo, non è sempre facile per la lingua. Lo spogliatoio è davvero molto unito».

Lei è uno silenzioso.
«No, parlo abbastanza. Soprattutto con quelli che sanno il tedesco. Con quelli che parlano meno inglese è più complicato. Nessun problema, siamo davvero uniti e questo è importante».

Lei e Arnautovic siete amici?
«Sì. Prima di venire qui l’avevo sentito, mi aveva detto: vieni, ti troverai bene. L’ho ascoltato».

Insieme avete vissuto anche l’ottavo di finale a Euro2020 contro l’Italia.
«Non avevo giocato, ero rimasto in panchina. Per tutti in Austria è stato difficile, eravamo dispiaciuti. Avevamo giocato una buona partita, ma alla fine l’Italia aveva dimostrato di essere più forte. Meritò di passare il turno e di vincere il torneo».

Quanto manca Arnautovic?
«È ovvio che manca, è uno che ha fatto otto gol. Mancano i suoi gol. Ma penso che ci sono altri calciatori che stanno facendo bene davanti. C’è tanta qualità: Soriano, Zirkzee, Orso... Quelli che sono in attacco non fanno sentire la sua mancanza».

Lei si sente più centrale o terzino?
«Preferisco fare il difensore centrale, nasco così. Ma c’è bisogno di me come terzino e mi sto trovando molto bene. Mi sto anche divertendo, e oltretutto faccio gol. E poi c’è un altro aspetto: imparare un altro ruolo è davvero positivo per me, posso aumentare il mio bagaglio di conoscenze».

Perché si è ritrovato terzino?
«Prima del Napoli Thiago me lo ha chiesto. Lo avevo già fatto qualche volta all’Hoffenheim e allora ho detto ok, va bene. Per me era importante giocare, il ruolo non contava. Quando il mister me l’ha chiesto mi sono mostrato immediatamente disponibile. Sono ancora lì, quindi vuol dire che ho fatto bene, immagino di aver fatto un buon lavoro».

C’è un momento di svolta nella sua carriera?
«Sì, penso al primo match con l’Hoffenheim in Europa League. Giocavamo contro il Ludogorets in trasferta. Era la prima esperienza da titolare in una competizione così. Ho avuto l’opportunità e me la sono presa. Devi sempre sfruttare la tua chance, la tua occasione».

La Serie A sa aspettare i suoi giocatori?
«Il punto è che quando hai una opportunità devi giocartela bene. Perché non ne avrai molte. Ci sono milioni di persone che vogliono diventare giocatori professionisti, c’è tanta competizione, tanta gente che vuole venire a giocare in Italia. Devi essere pronto. Non c’è tempo. No time».

Chi è stato l’allenatore più importante?
«Nagelsmann. Mi ha insegnato tanto. Mi ha voluto in Germania, mi ha fatto giocare in prima squadra. Ho imparato tanto da lui, gli sono riconoscente».

Com’è la vita a Judenburg?
«Sono cresciuto in un paese di 1500 persone, il posto si chiama Kraubath. Judenburg è a trenta minuti da lì. È stato bello crescere a Kraubath, è un posto tranquillo, carino, piccolo, le persone si conoscono tutte. Ho avuto un’infanzia felice, i miei genitori vivono ancora lì. Mi piace tornare a casa».

Lì ha iniziato con il calcio?
«Sì, il calcio è stato il mio primo sport. Giocavo con mio fratello maggiore, Philipp. Da piccolo sciavo anche, ero bravo. Poi ho deciso che il calcio sarebbe stata la mia carriera, e ho cominciato lì a Kraubath».

Suo fratello gioca ancora?
«Ora sta in quarta divisione, che è una categoria di dilettanti. Ma ha giocato anche in prima divisione, ha fatto la nazionale Under 21. Poi ha deciso di smettere. La mia famiglia è molto importante per me, ma non hanno niente a che fare col calcio. Mio padre si chiama Robert e lavora nelle ferrovie e mia mamma Monika lavora con i bambini».

C’è un insegnamento che si porta sempre dietro?
«Sì. Mio padre mi ha insegnato a restare sempre con i piedi per terra. Rimani sempre lo stesso. Non importa se guadagni tanto, se sei famoso. La cosa importante è rimanere umile. Cercando di lavorare al meglio ogni giorno».

Sono venuti a Bologna?
«Certo, sì, sono venuti a trovarmi. Io vivo in centro con la mia fidanzata. Ci piace tanto stare qui. Possiamo andare dappertutto a piedi, e questo è buono perché qui è difficilissimo guidare, trovare parcheggio... Stiamo molto bene. E poi c’è il cibo».

Lasagne o tortellini?
«Lasagne, è il mio piatto preferito».

Più dei tortellini?
«Qualche volta lasagne, qualche altra tortellini. Dipende dai gol».


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bologna, i migliori video