Van Hooijdonk, promessa al Bologna: “Se inizio a segnare, non smetto più”

L’attaccante olandese vuol dimostrare in rossoblù il proprio valore, ma a gennaio potrebbe partire
Van Hooijdonk, promessa al Bologna: “Se inizio a segnare, non smetto più”© LAPRESSE
Giorgio Burreddu
9 min

La mamma gli ha detto «be nice», sii buono, carino, educato. E la mamma è sempre la mamma. Anche in Olanda. Invece il papà è stato più incisivo: «Pensa sempre al prossimo passo, vai avanti. Non arrenderti». Sydney van Hooijdonk ha fuso queste due anime dentro a quasi due metri di stazza e muscoli. Ma gentili. E soprattutto innamorati di Bologna. Lo dice in italiano. Perché gli atti d’amore richiedono il linguaggio giusto: «Qui sto benissimo». Se resterà sotto le due torri, questo spilungone, è difficile a dirsi. Molti lo danno in partenza a gennaio, il gioco di Thiago Motta non fa per lui. Sydney trattiene il respiro: «Non posso dire se andrò via o resterò. Qui sto bene, è una bella squadra e la vita qui mi piace molto».

Però?
«Devo fare ciò che è meglio per la mia crescita, per la mia carriera. Devo anche giocare. Nel calcio le cose possono cambiare rapidamente. Mancano due mesi a gennaio e non si sa cosa succederà. Ora c’è Joshua che sta giocando una grande stagione».

Tra lei e Zirkzee c’è concorrenza?
«Sì, c’è competizione. Ma siamo davvero buoni amici. Giochiamo nella stessa posizione, ma siamo diversi».

Siete mai stati provati insieme?
«No, il modo di giocare è diverso. Penso che il modo in cui Joshua affronta il ruolo è opposto al mio. Lui è molto tecnico. Ne abbiamo parlato: fusi insieme, in un unico giocatore, le mie qualità e le sue, verrebbe fuori un giocatore da Real. Joshua tecnicamente è in grado di farlo».

Le danno fastidio le voci di trasferimento?
«È normale quando non giochi. Nell’ultimo anno e mezzo ho giocato molto e segnato anche molto. Secondo me Bologna non è la stessa di quando sono venuto qui due anni fa. Tutto è aumentato. Il livello, tutto. Vedremo cosa succederà».

Europa?
«È troppo presto per parlarne. Ma abbiamo una grande squadra, migliore rispetto a due anni fa».

All’Heerenveen ha dimostrato di saper segnare.
«Penso di averlo dimostrato non solo nella scorsa stagione. Quando gioco so che segnerò dei gol e so che posso farlo anche in Serie A. Ho bisogno di tempo. So che posso farcela».

Thiago Motta cosa le ha detto?
«Dopo l’estate abbiamo avuto una bella conversazione. Mi ha detto: “Inizi come tutti gli altri, hai le stesse possibilità di tutti”. Joshua ha iniziato giocando al meglio e anche a segnare un po’. Quindi devo solo aspettare, lavorare sodo. Ma penso che il mister sappia che posso fare gol».

Che rapporto avete lei e Motta?
«Normale, come accade sempre con gli allenatori. Ha fuoco, energia. È stato tutto un po’ strano in estate. Siamo ripartiti da zero, tutti si sono scusati con me».

Cosa è successo?
«Cinque giorni prima del ritiro il mio agente mi ha detto di aver parlato con il direttore tecnico. Dovevo andare in ritiro, era normale per me. Poi, due giorni prima, mi chiama il team manager e mi dice che devo restare a Bologna per i test. “Eh? Come?”. Ricordo che stavo cenando. I compagni di squadra sono stati molto gentili con me. Mi hanno sempre sostenuto. E questo è stato molto bello. Ed è anche per questo che mi piace tanto questa squadra, perché siamo una cosa sola. Ma è stato il periodo più difficile della mia carriera finora, perché mi sembrava un po' ingiusto».

Ha avuto una grande reazione.
«È stato difficile perché eravamo qui in cinque. Correvamo soltanto. Quando tutti sono tornati a Casteldebole ho chiesto cosa fare. Alla fine qualcuno si è infortunato e allora ho potuto allenarmi con la squadra. Mi sono allenato bene, abbiamo fatto delle partitelle, e ho segnato un paio di volte. Da allora sono sempre stato con la squadra. Devi essere forte mentalmente, e andare sempre avanti. Così vieni premiato».

Saputo le ha detto qualcosa?
«Sarei partito l'ultimo giorno di mercato per andare in Germania. Non è stato facile, ero arrabbiato. Non capivo perché non mi avessero lasciato andare. Visto che non ero andato nemmeno in ritiro. Poi, quando sono arrivato qui al club, il presidente è venuto da me e mi ha detto che mi capiva, che gli dispiaceva, ma che qui avrei avuto una bella possibilità. Mi ha detto: “Prenditi il tuo tempo, alla fine sarà un bene per te". È stata una conversazione molto piacevole».

La sua presenza qui rafforza la squadra?
«È un bene. Con lui puoi parlare, fa colazione con noi, passa del tempo con noi. Non ti mette in soggezione. Non si ha la sensazione di una grande distanza. Qui è come una grande famiglia».

È suo padre Pierre che le ha insegnato a essere forte?
«Sì, credo che mio padre sia sempre stato molto forte nella testa. E non c'è bisogno di guardare quello che dicono gli altri o quello che pensano gli altri. È necessario andare a fondo per sé, e crederci».

Cosa le ha trasmesso?
«Lui è uno che ha vissuto tante esperienze nel calcio, ha avuto una carriera importante. Parlo con lui. Per altri calciatori non è così, magari hanno solo un agente. Io ho mio padre. È una fortuna. Mi ha detto: “Sì, a volte è uno schifo, ma continua ad andare avanti e pensa solo a essere pronto per il tuo prossimo passo”. Mi aiuta molto. Perché non sai mai cosa può capitare».

Ha mai sofferto il confronto?
«Quando ero in Olanda, all'inizio ho giocato nella sua stessa squadra. La possibilità che ti paragonino molto c’è. Soprattutto nei talk in tv. Ci sono quelli che dicono: “Questo giocatore non mi piace”. Magari è gente che non ama mio padre e mi guarda e non gli piaccio perché non gli era piaciuto lui».

I suoi vengono a trovarla?
«Mio padre quest'anno non è ancora venuto. Verrà. Forse per la Coppa Italia contro l'Inter. Mia madre è venuta ad aiutarmi quando ho preso una nuova casa. Adesso vivo in centro».

Che rapporto ha con Bologna?
«Amo Bologna. Mi piace molto la vita qui. Per la cultura, le cose, la vita. Mi si addice. Le persone non sono stressate. Non sono un tipo che sta sempre a casa e ordina solo cibo. Ho degli amici qui. Ho fatto amicizia con altre famiglie, famiglie italiane. È bello».

Qual è il suo obiettivo?
«È difficile da dire. Voglio fare gol. Ma tutto dipende dalla presenza in campo. Per me è sempre stato un obiettivo, alla fine, riuscire ad avere successo a Bologna».

Chi è il leader del gruppo?
«De Silvestri è il tramite tra la società e lo spogliatoio. Ma in realtà non c'è un vero leader, questa è la forza del gruppo».

Arnautovic era un leader?
«Dicono che è un po' crazy, ma per me è un bravo ragazzo. Mi ha chiamato un paio volte. Ha giocato in Olanda, parla anche la mia lingua. Consigli non me ne ha dati».

Giravano campioni in casa vostra?
«Spesso io e papà siamo andati a vedere il Real Madrid. Mourinho era l'allenatore e Mourinho era stato l'allenatore di mio padre al Benfica. Sono grandi amici. Una volta Cristiano Ronaldo, che per me è il migliore, è venuto da mio padre e gli ha detto "ciao", come se fosse un amico. E io pensavo: “Wow”. Poi, quando abbiamo giocato contro la Roma due anni fa, io ero in panchina e Mourinho si è avvicinato. Ci siamo abbracciati e abbiamo parlato».

Pensa che il sistema di gioco di Motta influisca sulla sua carriera?
«Sono un attaccante che ha bisogno di cross dai terzini e dalle ali. E qui non ci sono. In Olanda ho avuto delle ali e dei giocatori che come prima cosa mi cercavano. Ma è normale che si cerchi un altro modo di dare palla all’attaccante. Quando giocherò tante partite di fila a Bologna sarà più facile».

Però il gol in coppa è stato importante.
«È stato più che altro un sollievo perché era una partita difficile. Non si tratta solo di fiducia. Quando si gioca ogni settimana non si pensa a nulla, le cose vanno da sole. Ero davvero felice. Alla fine sono un attaccante, ho bisogno di fare gol. Soprattutto per il tipo di attaccante che sono. È stato bello vedere la felicità dei miei compagni. Dopo la partita ho chiamato la mia famiglia, i miei amici: tutti avevano guardato la partita perché era in diretta anche in Olanda. È stato bello».


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