Fiorentina travolta 4-2 dal Psg, ma sta nascendo qualcosa di nuovo

Finisce 4-2 per i francesi la sfida di International Champions Cup ma sono comunque arrivati due piccoli segnali di svolta in una stagione che potrebbe essere diversa da tutte le altre: la forza dell'allenatore e il ruolo dei tifosi
Fiorentina ko col Psg. In tribuna il faccione di Ibra
Massimo Basile
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NEW YORK (STATI UNITI) - Nella notte di Harrison in cui la Fiorentina è stata travolta 4-2 dal Psg, sono arrivati due piccoli segnali di svolta in una stagione che potrebbe essere diversa da tutte le altre: la forza di Paulo Sousa e il ruolo dei tifosi. Le partite a questo punto della stagione non sono mai definitive, le squadre sono incomplete, c’è stato poco tempo per tutto, ma si è cominciato a vedere quella che sarà la nuova Fiorentina: una squadra veloce, meno artistica, ma più decisa nel pressare, nel riconquistare palla e ripartire. Marcos Alonso cattivo che aggredisce l’avversario è una novità storica, così come Ilicic in scivolata o lo stesso Rossi, al suo primo gol in stagione (il rigore del 2-4 segnato con la sicurezza del campione) capace di rincorrere l’avversario fino a metà campo. La voglia di Joaquin, Borja Valero e Gonzalo Rodriguez di strappare il pallone dalle mani degli avversari per far ripartire il gioco nonostante il risultato compromesso, sono segnali nuovi per una squadra che, appena pochi mesi fa, davanti alle difficoltà si afflosciava come un foulard. Certo – seppure incompleta – la Fiorentina è parsa più debole tecnicamente rispetto al passato, a cominciare dal portiere, Tatarusanu, meno sicuro nel rilancio dell’azione con i piedi; la difesa ha sbandato con disarmante facilità (e non ha più Savic) quando attaccata sulle fasce; Gomez si è confermato gigante d’argilla, ma sembra esserci una rabbia diversa sparsa in mezzo al campo che l’arrivo di Mario Suarez può portare a un consolidamento. Qui, prima che tattico, il discorso è emotivo. Forse sta cominciando a entrare nelle vene della squadra quel senso di rabbia, orgoglio, appartenenza che Sousa vuole iniettare nei giocatori, e che i tifosi – accorsi a migliaia in New Jersey – hanno mostrato di apprezzare. Dopo aver chiuso il primo tempo sullo 0-2, nella ripresa i viola (con l’ingresso di Bernardeschi, Gonzalo, Joaquin, Borja e Babacar) hanno chiuso il Psg in area, segnato con Joaquin, pareggiato (gol annullato per dubbio fuorigioco) e poi reagito sul 4-1 segnando con Rossi. La presenza di tifosi vestiti di viola, arrivati da tutti gli Stati Uniti, è stata una sorpresa. Il calore ha galvanizzato i giocatori, l’entusiasmo ha divertito gli spettatori neutrali, a cominciare dalla festa nel parcheggio dello stadio, a base di vino e prosciutto, organizzato dal Viola Club New York. La grinta di Sousa e la passione dei tifosi. Insieme possono essere i due elementi della svolta, proprio in questo momento in cui una proprietà popolata da ragionieri, contabili e commercialisti, appare un’entità lontana, fredda, lunare, alle prese con un mercato fatto senza certezze, ma di rincorsa, senza strategie forti, ma sempre a inseguire, ora Salah, ora Gomez, ora Savic. Sono le decisioni degli altri che, in questo momento, indirizzano il mercato. Bastava vedere il video sulla Fiorentina proiettato sugli schermi della Red Bull Arena: c’erano gol, ma non volti (tutti sono cedibili, meglio non rischiare), contrariamente a quello ideato dal Psg, mentre l’unico messaggio forte della Fiorentina erano gli spalti gremiti di tifosi. Si può comprare e poi vendere, salvaguardando il bilancio, ma “in Fiorentina”, come ormai la chiamano i commercialisti del club, i conti sembrano l’unica grande ossessione. E allora non resta che prenderne atto. Ma in che modo?



FAVOREVOLI E CONTRARI - A Firenze la tifoseria si divide tra chi è a favore dei Della Valle e chi contro, ma è ormai un dibattito inutile: i Della Valle stanno garantendo la tenuta dei bilanci, hanno portato per quattro anni consecutivi la squadra al quarto posto. Non ci fossero loro, la Fiorentina, per bacino d’utenza, sarebbe il Genoa o il Bologna. Di più non sono in grado di fare, basta vedere la loro storia: dallo stadio alla battaglia per moralizzare il calcio, alla ferma posizone su Salah alla discesa in politica di Diego, sono tutti castelli di rabbia lasciati a metà, come scolari che non colorano i loro disegni. Il successo non sarà mai un obiettivo concreto, perché servono follia, passione, e quelli non sono presenti nel nobile dna della famiglia. Ma la partita di Harrison, per la partecipazione sugli spalti, dice che i tifosi hanno l’occasione storica di rendere la squadra più unita, farla propria, sfilandola alla proprietà stessa, in una sorta di azionariato virtuale, creando un rapporto diretto, senza filtri, in cui la gente può trascinare la squadra, e viceversa, al di là della vera forza tecnica. I fiorentini hanno sempre amato la passione dei giocatori, il senso di appartenenza. Forse è il momento di unirsi intorno ai ragazzi. Si tifa per la Fiorentina, non per l’azienda che la guida, e fondamentalmente tifiamo per salvare noi stessi. E’ una scelta necessaria, se si vuole sopravvivere nel calcio dei bilanci. Anche perché gli unici che sentono il colore viola sulla pelle sono i tifosi, non la società (nessuno, tra i dirigenti, ha un passato nella Fiorentina, probabilmente neanche conoscono il testo dell’inno), ma adesso c’è un tecnico che sembra aver capito cosa può aiutare a superare le debolezze della proprietà: convincere i giocatori che la Fiorentina sono loro. Loro e i tifosi. E nessun altro. Ad Harrison, per alcuni momenti, questo connubio esclusivo ha prodotto qualcosa di bello.


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