Ambrogio Maestri: «A Firenze il bel canto nel tripudio del bel calcio»

Il baritono sarà Rigoletto: «Tifavo Juve, mi incanta il gioco di Sousa e il carisma artigiano di Della Valle»
foto: ambrogiomaestri.com©  foto: www.ambrogiomaestri.com
Bruno Bartolozzi
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FIRENZE - Ambrogio Maestri, 45 anni, il più acclamato baritono della generazione dei 40-50enni, scende... in campo a Firenze per il Rigoletto. Città alla quale è particolarmente legato anche per una conquistata passione sportiva. «Sono di Pavia, ho giocato a pallacanestro ai tempi in cui Pavia era un riferimento, quando avevo più o meno questa altezza (sfiora i due metri, ndr), ma 40 chili in meno. Mi piace anche il calcio e sono cresciuto tifando per la Juventus, ma a Firenze ho trovato qualcosa d’altro».

Cosa?

«A Firenze siamo immersi nel bello e bello è anche il gioco della Fiorentina. Bello è quello che spinge un artista a migliorarsi e a misurarsi con grandi repertori da far vivere. Bello è l’idea, nello sport, che per raggiungere un risultato devi comunque appagare. Il risultato da solo non basta».

E la Fiorentina?

«E la Fiorentina ha questo. Poteva essere in testa, ma non fa niente. Ci sono i valori che rappresenta. E poi il campionato grazie a squadre come la Fiorentina si sta innervando di linfa vitale. Basta Juve, basta anche Milan e Inter. Fiorentina e Napoli tengano testa e portino avanti il nuovo e il bello. Anche la Roma, che mi pare, però, si stia attardando un po’».

I suoi calciatori di riferimento?

«Le bandiere. Se ne stanno perdendo le tracce. Per questo, a me, piaceva Del Piero. Una bandiera è Antognoni, ma anche Totti. Poi vedo che Firenze ha mantenuto questo forte legame con l’idea dell’atleta simbolo. Vincere? Il calciatore deve soprattutto restare e crescere in un ambiente che diventa la tua comunità. A Firenze, al di là di chi arriva e di chi parte, l’aspirazione a fare comunità c’è. E mi piace. Il gioco della Fiorentina poi è una melodia ben eseguita. Sarebbe bello vedere Sousa e la squadra con noi a teatro».

Cosa altro le piace della Fiorentina?

«Diego Della Valle. Penso che abbia le carte giuste anche per guidare una comunità più grande. Se è vero che il suo impegno civile può trasformarsi in un progetto per trasformare il nostro paese, allora voglio proprio seguire questa avventura. Mi dà l’idea di un grande artigiano con la coscienza del padre di famiglia. Solidarietà e capacità, quello che serve all’Italia. E che ha fatto decollare il nostro paese, ma anche il calcio, come è accaduto qui».

Il suo basket.

«Era il basket dei tempi di Attilio Caja a Pavia. Poi ho smesso abbastanza presto. Giocavo centro e mi mancavano i centimetri».

Il basket è uno sport musicale… play maker nelle giovanili della Scavolini era il maestro Mariotti…

«Non lo sapevo. Io almeno potevo giocare sena pensare agli infortuni. Per un musicista anche se sul podio… steccarsi un dito non è il massimo».

Veniamo al Rigoletto...

«Potrebbe essere una storia di oggi: un padre che crescere da solo una figlia. Per un baritono il Rigoletto è come la Champions league... Meglio: è come un calcio di rigore. Se ti designano devi fare gol. E se sbagli…».

Immagina il bis della Vendetta, come fa regolarmente, ad esempio, Leo Nucci?

«Non lo so. Io diffido del bis. E’ una fatica. E’ tensione. Se non parti con l’idea di farlo e decidi all’impronta rischi di fare male proprio la replica acclamata in anticipo. E’ accaduto che gli stessi che avevano chiesto un bis ti “buuano”, ti fischiano se la tua “seconda” è fiacca».

Torna a cantare dopo Parigi…

«Sì. Ero all’Opera la Bastiglia nei giorni della strage. Proprio lì. Ricordo l’angoscia di quel venerdì. Ero a 500 metri, in casa, dalle strade degli attentati. Sirene e spari fino all’una. Mi chiamavano dall’Italia e mi chiedevano notizie. Ma avevano secretato tutto. In tv non c’erano informazioni. Ne chiedevo io a chi chiamava. Però una cosa che mi ha dato orgoglio».

Cosa?

«La domenica abbiamo cantato lo stesso l’Elisir d’amore. Lo abbiamo fatto con passione e amore. Credo che sia stata una delle nostre - e parlo di tutto il cast - migliori rappresentazioni. Non deve vincere la paura, anche se abbiamo angoscia dobbiamo testimoniare con il teatro. L’Elisir è un’opera buffa di Donizzetti: in quel week end hanno riso tutti di cuore. Ridere è la nostra forza. E poi, insieme, a cantare la Marsigliese. Mi hanno ringraziato e abbracciato. A teatro la vita non gioca a vuoto».

(foto: ambrogiomaestri.com)


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