Intervista esclusiva a Franck Ribery: "Io sono vero"

La Fiorentina, la fede, la fame: confessioni di un fuoriclasse. "Sono cresciuto nelle difficoltà, su una strada che univa cinque quartieri e mille popoli. Dio e la mia passione mi hanno dato tanto. Il dribbling è una religione in campo, è libertà"
Intervista esclusiva a Franck Ribery: "Io sono vero"
Ivan Zazzaroni
5 min

«Je suis vrai, io sono vero». Franck Ribery si scioglie con una facilità sorprendente. Mi avevano spiegato che è un tipo particolare, di cuore ma anche di singolari empatie. E invece eccolo qui, disarmato, piacevolissimo nel suo italiano reso delizioso e pieno da qualche inevitabile francesismo. «Non ho mai dimenticato le mie origini, da dove provengo. Conosco il significato della parola “difficoltà” perché è nelle difficoltà che sono cresciuto. Famiglia povera la mia, padre, madre, tre fratelli e una sorella. Mio padre ha smesso di lavorare quando sono diventato professionista e ho guadagnato i primi soldi veri. Lui non voleva, l’ho costretto. Poco cibo, spesso senza scarpe, calore umano. Ho nostalgia di quegli anni, della mia gente. Respiravamo l’amicizia, la solidarietà era un valore, sembrava tutto così semplice, bellissima atmosfera. Io e Wahiba, mia moglie, ci siamo messi insieme quando avevo sedici anni. Adesso siamo a venti. A Boulogne-sur-Mer c’è questa strada, le Chemin Vert, che praticamente taglia cinque quartieri. Io di Transition, Wahiba, che è franco-algerina, di Boieldieu. Cristiani, musulmani, arabi, neri. No, neri no, non mi piace questa parola: africani. Quasi naturale abbracciare l’Islam. In arabo c’è una parola, “hamdoullah’” che si può tradurre così: Sia resa la grazia a Dio. E’ il mio principio di vita: tanto quando le cose mi vanno bene quanto se sono in crisi, hamdoullah. Ho avuto tanto». Franck Ribery parte da quell’io sono vero che durante l’intervista ripete almeno altre due volte. Procediamo in disordine. «Ti parlo della Fiorentina. Sappiamo di non avere una squadra da primi posti, ma dobbiamo sempre uscire dal campo felici per la vittoria ma anche arrabbiati per la sconfitta. E’ il messaggio che passo ai più giovani. Non amo aprire bocca quando ho poco da dire, ma vista l’esperienza che ho accumulato ogni tanto provo a trasmettere qualcosa al gruppo. Nelle prime settimane sono stato in silenzio perché ero arrivato tardi, niente preparazione. Ho aspettato di recuperare una condizione buona per dare una mano alla squadra».

Perché questo inizio?

«Oggi i ventenni vogliono arrivare in fretta, hanno troppe distrazioni, diciamo che con la mia esperienza spero di aiutarli a crescere. Qui ci sono giovani di qualità che soltanto col lavoro possono diventare grandi giocatori. Ti parlavo dei sacrifici, delle diffi coltà. A sedici anni partii in auto con un amico che aveva la patente per andare a sostenere un provino ad Arles, terza divisione. Percorremmo oltre mille chilometri viaggiando anche di notte, il provino era alle tre del pomeriggio, arrivammo mezz’ora prima e scesi in campo senza nemmeno aver mangiato. Sacrificio, passione, difficoltà, fame. A trentasei anni ho ancora la stessa fame di allora».

Per questo hai preferito Firenze, la Serie A, ai milioni arabi, cinesi e russi.

«Non so vivere senza la pressione e la tensione della vigilia, senza il trasferimento in pullman, lo spogliatoio prima di una partita importante. Il calcio vero. Quando raccontai a mia moglie che era arrivata anche la proposta dalla Fiorentina, lei mi disse: “Ti conosco da vent’anni, so tutto di te, so che hai bisogno degli stimoli giusti e che il denaro arriva dopo”… Ho avuto due grandi fortune». [...]

Anche tu, come Platini, non ami il Var?

«Cinquanta e cinquanta. Non mi piace ma, come si dice in italiano, mi adeguo. Soffro le interruzioni, uno, due, tre minuti fermi per rivedere un’azione. Il calcio lo preferivo senza il Var, ma se questa è la regola, la rispetto».

Tu verso i 37, Ronaldo verso i 35. Buffon quasi 42 e si parla del rientro in Italia di Ibra, 38 fatti.

«Il niveau, il livello, è alto. Professionisti che hanno saputo lavorare, che non si sono fermati. Io smetterò soltanto quando il corpo mi dirà che non ce la fa più. Anzi, un minuto prima».

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