Questi non sono tifosi della Fiorentina

Questi non sono tifosi della Fiorentina
Marco Evangelisti
3 min

Una parte per il tutto, figura retorica che però a forza di usarla diventa concetto, percezione e infine realtà franca e accettata. Lo stadio di Firenze, anzi, il pubblico di Firenze coinvolto per intero nella miseria esistenziale di alcune anime perdute, convocato in massa presso il tribunale dell’opinione pubblica per rispondere di peccati che dai violenti ricadono su chi violento non è, non ha nessuna intenzione di diventarlo e ha pure il sacrosanto diritto di sentirsi innocente delle intemperanze altrui.

Per carità, è figura retorica anche la distinzione rigida tra spettatori buoni e cattivi, il luogo comune in cui si rifugiano di continuo amministratori deboli e dirigenti sportivi balbettanti. La consueta formula assolutoria recitata per sfuggire a una sanzione, a un sospetto, a un’ombra di giustizia: quella in base alla quale non si può punire o marchiare una tifoseria complessa e articolata in conseguenza delle azioni riprovevoli di pochi. Luciano Spalletti, astuto oltre che colto, quando in piena estate si lamentò delle due ore di insulti dedicati a lui e alla madre novantenne seppe distinguere e contemporaneamente includere. Disse che a Firenze ci sono «i professionisti della maleducazione» strategicamente piazzati dietro le panchine, aggiungendo che altrove queste cose non accadono. Ebbe in cambio dal sindaco Dario Nardella la consueta cucchiaiata di zucchero a velo: «Episodi da condannare. Purtroppo avvengono in tutti gli stadi. Invito a non generalizzare».

Ma certo che no. Non tutti al Franchi hanno insultato Spalletti. Ci sarebbe voluta una coordinazione di sicuro superiore a quella della difesa di Italiano. Non tutti hanno aggredito il tifoso vestito da Dimarco o hanno invitato gli altri a buttarlo di sotto. Laddove invece tutti, quattro anni e mezzo dopo, si ricordano di pensare ad Astori quando scocca il tredicesimo minuto di partita. Mettiamola così, potando le figure retoriche: Firenze non merita che la sua parte peggiore diventi il tutto, nella visione di chi arriva lì a guardare una partita o a disputarla. Per quanto frustranti e talvolta dolorosi possano essere un torto arbitrale, un gol dubbio incassato all’ultimo istante, una soddisfazione stroncata. E se proprio non si può redimerla, quella parte peggiore composta da tifosi fasulli isoliamola e lasciamola fuori a rappresentare sé stessa. Questa è prassi, non retorica.


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