Biraghi esclusivo: "Firenze, io paro ogni colpo"

Da sempre capro espiatorio ("Ho accettato lo status senza condividerlo, per me parlano i numeri e non le chiacchiere"), il capitano della Fiorentina sogna di alzare un trofeo: "Non si vince da venti anni, voglio farlo per il club"
Biraghi esclusivo: "Firenze, io paro ogni colpo"© Getty Images
Andrea Giannattasio
7 min

Ha scelto di tatuarsi la sua massima preferita al centro del petto, quasi a volerla ripetere a se stesso tutti i santi giorni: «Vae victis», ovvero «Guai ai vinti». E dire che Cristiano Biraghi, di occasioni per darsi per sconfitto a Firenze, ne avrebbe avute eccome. A cominciare da un rapporto che con una parte della piazza non è mai decollato fin dal suo arrivo nel 2017. La storia però oggi racconta ben altro. E cioè che il terzino, dopo essere diventato capitano della Fiorentina due anni fa, è adesso vicino a tagliare il traguardo delle 200 presenze in viola. E per giunta nell'anno in cui una città intera sogna di spezzare il digiuno da vittorie che dura da oltre venti anni.

Un traguardo di prestigio, Biraghi. Sorpreso?
«Sto vivendo questa fase della carriera in modo sereno, concentrato sugli obiettivi che possiamo ancora centrare. Sono in una fase “di mezzo”, o almeno spero. Vorrebbe dire che ancora ho davanti tanti anni da passare qui».

Si può dire che sia però la fase migliore?
«Diciamo un buon momento, si può sempre migliorare. Ma già lo scorso anno abbiamo raggiunto un traguardo importante tornando in Europa. Adesso c'è la possibilità di fare ancora meglio».

Intanto si sta confermando il miglior crossatore in A: se l’aspettava?
«Sono contento perché per me parlano i numeri, non le chiacchiere. Quando eccelli in una statistica è un motivo d’orgoglio. Vuol dire che almeno in qualcosa riesco ad esprimermi al meglio».

Sette vittorie di fila non sono un caso: vi state prendendo una rivincita?
«Forse qualche ragazzo nuovo può aver sofferto qualche parola di troppo ma è bene capire subito che Firenze è una piazza esigente. Le critiche devono essere vissute come motivo d’orgoglio».

E lei se ne intende. Due anni fa si definì “cane da bastonare": si sente tuttora così?
«È palese che il parafulmine della Fiorentina sia io. Mi va bene, se sono ancora qua è perché ho accettato questo status. Nel momento che non vorrò più subire critiche, ma difficilmente accadrà per il carattere che ho, lascerò da una parte la borsa e andrò a casa».

Ma davvero c'è chi non riesce a lasciarla in pace?
«È successo in passato e accade oggi: qualcuno ce l’ha sempre con me. Ora con sette vittorie di fila va bene tutto. Ma resto l’esempio vivente del giocatore che viene preso di mira. Ma avrei tanto un desiderio...».

Quale?
«Vorrei chiedere a chi mi critica il motivo per cui lo fa. So già che mi darebbe una risposta superficiale, perché non mi conosce. Spesso mi dipingono come scorbutico: ma come fai a giudicarmi se non sai chi sono davvero? Per fortuna a Firenze ho incontrato tante persone che si sono ricredute su di me. La cosa più importante è avere la stima di mister e compagni. Se dovessi perderla, inizierò a farmi due domande».

Una persona che sempre ha difeso lei e la squadra è stato il presidente Commisso.
«È una figura importante per noi. Avere la vicinanza così costante da parte sua è un aspetto fondamentale».

Torniamo al calcio: Verona è stata la gara della svolta?
«Sì, ma per il risultato. Anche nelle gare precedenti avevamo creato i presupposti per vincere, benché non arrivassero i successi».

Ci racconta la sua prodezza dello 0-3 al Bentegodi?
«Dalla panchina avevo notato che il portiere dell’Hellas stava molto alto sulle punizioni. Quando sono entrato, appena ho visto che c’era la possibilità di colpire, senza guardare Montipò ho calciato. È andata bene ma sa… la differenza tra un genio e un pazzo sta nel successo».

Bel motto. Le servirà per gestire meglio la concorrenza nel suo ruolo?
«Quella è sempre utile. Tutti devono dimostrare di saper far bene per alzare il livello, anche se si torna al discorso di prima».

Quale?
«Appena uno gioca al mio posto e fa bene, c’è chi lo vuole titolare. Per me però parlano i fatti: ogni anno dovevo essere fatto fuori e ogni anno ho giocato 35 partite».

Sabato torna a San Siro: quella con l’Inter per lei resta una gara più speciale di altre?
«Non può non esserlo. Specie in quello stadio là, dove sono cresciuto da tifoso e da giocatore. Poi in campo non ci penserò: sarà mio compito far vincere la Fiorentina».

Ha vissuto male il suo mancato riscatto dell’Inter nel 2020?
«Non ho rimpianti. Dovevo essere acquistato ma a causa del Covid furono bloccati i conti in Cina di Zhang e il club decise di prendere a zero Kolarov e Darmian. Sono tornato a Firenze con ancora più fame».

Quella che vi è mancata nel ko per 4-3 dell’andata?
«No, era solo una Fiorentina diversa. Impulsiva e focosa. Prendere quattro gol in casa non esiste. Adesso siamo maturi anche se sappiamo che quella di sabato sarà una gara complicata».

Dopo l’Inter, torneranno le coppe. I capitani della storia viola che hanno alzato un trofeo non sono molti...
«È vero e un po’ ci penso. Ma non amo sognare, piuttosto guardo la realtà. Siamo in corsa per due coppe e la possibilità di vincere c’è ma la strada è ancora lunga».

Ma l’idea di una Firenze in festa che carica le dà?
«Portare un trofeo qua sarebbe fantastico. Ogni giorno lottiamo per far felice la gente che da 22 anni non vince qualcosa. Che poi il trofeo lo alzi io o un altro poco importa. Basta farlo».

Può essere l’elemento decisivo per permetterle di chiudere la carriera a Firenze?
«Spero di giocare ancora per sei anni e non si sa mai cosa potrà accadere ma una cosa è certa: da qui non me ne vorrei mai andare e mi piacerebbe finire in viola».

Davanti a lei ha un giornale, il nostro, che parla di una Fiorentina che traslocherà per due anni dal Franchi: se lo immagina?
«Sarebbe penalizzante per noi, non prendiamoci in giro. Il mio pensiero va ai tifosi e alle spese che dovrebbero sostenere. Mi auguro che in caso di cambio di stadio la squadra possa giocare il più vicino possibile a Firenze».


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