Quel senso di Firenze per l'Europa

Leggi il commento sulla storia della Fiorentina nelle coppe europee
Quel senso di Firenze per l'Europa© SESTINI MASSIMO
Roberto Beccantini
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Quando in Italia si disserta di calcio internazionale, il pensiero corre a Milano. La metropoli più europea. Inter, Milan. Il Milan, soprattutto: 18 trofei «extra», uno in meno degli scudetti in bacheca. Testimonianza ingorda e diretta di una vocazione che ha saziato appetiti antichi, robusti. Ecco. Da Milano ci si sposta a Torino, coté Juventus, alla Parma di Calisto Tanzi e del suo giardino dei «finti contini». Alla Genova doriana, a Lazio e Roma. Al Napoli di Diego Armando Maradona. E Firenze? Nessuno se la fila. Un po’ per colpa sua, avendo scelto la «gobbomachia» quale manifesto di crociate fin troppo ossessive; un po’ per la superficialità mista a ignoranza che caratterizza e orienta i nostri pruriti di rivalsa. Eppure il senso di Firenze per l’Europa non è stato così vago o negligente come ci raccontano gli albi d’oro.

Fiorentina, prima finalista in Coppa dei Campioni

La finale di Conference League, in programma domani sera a Praga contro i «martelli» londinesi del West Ham, ci offre lo spunto per riesumare due momenti. Non il Milan, e nemmeno l’Inter: la prima squadra finalista in Coppa dei Campioni è stata la Fiorentina. La allenava Fulvio Bernardini. Il dottor Pedata. Era la stagione 1956-’57. Negli ottavi, 1-1 e 1-0 agli svedesi del Norkkoping; nei quarti, 3-1 e 2-2 con gli svizzeri del Grasshopper; in semifinale, 1-0 e 0-0 con i serbi della Stella Rossa.  La «bella» si tenne il 30 maggio 1957 nel ventre tempestoso del Bernabeu. Era l’epoca del Real, e Real fu. Il Real di Alfredo Di Stefano, Raymond Kopa, Francisco Gento. Due a zero: rigore dubbio (ma va?) trasformato dalla Saeta rubia e contropiede (avete letto bene) di via col Gento. Sempre alla Viola dobbiamo, inoltre, il primo trofeo dell’età moderna.

Il trionfo in Coppa delle Coppe

La Coppa delle Coppe alzata il 27 maggio 1961: 2-1 ai Rangers di Glasgow, già sconfitti 2-0 in Scozia. Che rosa, quella rosa: Kurt Hamrin detto uccellino, Dino Da Costa e una delle «terzine» introduttive del dolce stil novo, Albertosi-Robotti-Castelletti. In panchina, Nandor Hidegkuti: lui, la miccia magiara del falso nueve, il centravanti mascherato che arretrava per armare il sinistro di Ferenc Puskas. Agenda alla mano, il trionfo della Fiorentina bruciò in volata, di pochi mesi, la Coppa delle Fiere conquistata dalla Roma di Luis Carniglia l’11 ottobre 1961 (2-0 al Birmingham City bloccato 2-2 all’andata). La Lupa di Giacomo Losi, Antonio Valentin Angelillo, «Piedone» Manfredini. E di Fabio Cudicini, non ancora il ragno nero. Non solo barricate e fumogeni, dunque, per contestare la fuga di Roberto Baggio. Non solo editti apocalittici all’indirizzo della Spectre sabauda per poi intascarne, bavosi e bramosi, le mance milionarie in sede di mercato. E occhio al dettaglio: la sua prima coppa (Uefa), Madama l’avrebbe celebrata il 18 maggio 1977 a Bilbao, non senza catenaccio e stridore di caviglie: sedici anni dopo. Un’eternità. Al diavolo i paragoni blasfemi. Basterebbe imitare Alessandro Manzoni e «sciacquare i panni in Arno». Ogni tanto, almeno. Noi turisti, certo. Ma anche loro. I custodi del calcio fiorentino: di una storia, cioè, non proprio nata ieri.  


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