Beltran, intervista esclusiva: “Io e Gudmundsson insieme, si può fare”

L'argentino della Fiorentina si racconta e parla della possibile coesistenza in campo con l'islandese: cos'ha detto
Francesco Gensini
10 min

Chi è Lucas?
«Un ragazzo tranquillo a cui piace stare in famiglia. Un ragazzo felice di essere qui a Firenze, di visitare e conoscere posti sempre nuovi in una città magnifica».

E invece chi è Beltran?
«Un calciatore serio (nel senso di professionale, ma sempre col sorriso bello come in questa intervista, ndc), che si allena al massimo ogni giorno e che vuole migliorare per dare tanto al club, alla squadra e soprattutto ai tifosi».

Preso dalla Fiorentina e portato in Italia come centravanti di ruolo, a Italiano lei disse: preferisco giocare da trequartista. Ha fatto lo stesso anche con Palladino?
«All’inizio della stagione il tecnico ha parlato con ognuno di noi e a me ha chiesto dove mi sentivo più a mio agio in campo: intanto, gli ho detto di avere tanta voglia di Fiorentina, poi che a me piace giocare. In quale ruolo non importa: può essere da trequartista, che preferisco, come da centravanti. "Io ti vedo sia centravanti che trequartista, valutiamo dove ti trovi meglio", mi ha risposto. In allenamento mi ha messo trequartista, gli sono piaciuto e adesso gioco lì».

Diciamo che il "problema" centravanti comunque è stato risolto con Kean: lei è pronto a fare il centravanti per necessità o scelta dello stesso Palladino?
«Certamente. Io voglio giocare e aiutare la Fiorentina. Dove non ha importanza e sono pronto a soddisfare tutte le richieste dell’allenatore».

Il gioco della Fiorentina esalta le sue caratteristiche di contropiedista.
«Io cerco il contatto con il pallone, desidero averlo tra i piedi per entrare nell’azione, per fare assist ai compagni, per puntare la porta avversaria».

La differenza sostanziale fra Italiano e Palladino?
«Proprio il sistema di gioco, in primis: completamente differente. Poi il posizionamento in campo: con Italiano andavamo subito in pressione in avanti, adesso ci mettiamo in posizione d'attesa e copriamo più campo pronti a ripartire».

Motivo quello del ruolo e dei pochi gol segnati che da più parti si diceva potessero allontanarla da Firenze: ma lei ha tenuto duro e ora nessuno parla più di cessione.
«Se c’è una cosa che mi caratterizza come persona e come calciatore è di non desistere mai e quando le cose non andavano bene ho fatto leva su questo aspetto. Ma indispensabile è stata la fiducia di Commisso che mi spronava sempre a non arrendermi e a dimostrare il mio valore: e se lo dice il presidente va ascoltato e seguito. Insieme all’appoggio della mia famiglia, degli allenatori, dello staff e dei compagni che hanno sempre avuto un atteggiamento positivo nei miei confronti: un calciatore è sempre espressione di ciò che lo circonda».

Il resto l’hanno fatto i tifosi viola: al momento della sostituzione contro il Verona tutto il pubblico del Franchi si è alzato in piedi per applaudirla.
«Sono semplicemente fantastici: a Firenze vivono il calcio come in Argentina e io mi sento a casa. Ti spingono, ti sostengono, ti stanno vicino. Quando non riuscivo a dare quello che volevo dare, e tanti erano i dubbi, loro mi scrivevano su Instagram. “Forza Lucas”, “Sei forte”, “Non mollare Lucas”. Li adoro».

Una cosa è sicura: Beltran non ha mai pensato di andarsene e il Viola Park è diventato subito casa sua.
«Il posto più bello che esista. Non c’è un centro sportivo così in Europa. Ha tutto per consentirci di fare bene il nostro lavoro e dobbiamo sfruttarlo al massimo».

La maglia numero 9 di Batistuta sulle spalle: peso o orgoglio?
«Soltanto un orgoglio. Enorme. So che cosa ha fatto "il Bati" (testuale, ndc) qui a Firenze e non dico che voglio essere come lui, perché è impossibile. Ho visto i video, i gol che segnava, quello che ha dato lui alla città e alla Fiorentina è stato incredibile. E per me è un orgoglio immenso indossare la maglia numero 9».

Daniel Bertoni, campione del mondo 1978 e attaccante della Fiorentina che ha sfiorato lo scudetto all’inizio degli anni Ottanta, ha raccontato che lei gli ricorda il primo Lautaro Martinez: confronto impegnativo o una bella sfida?
«Tutti e due. In effetti, posso avere movimenti e colpi che un po’ ricordano quelli di Lautaro e lo dico con tutto il rispetto nei confronti di un campione e di un attaccante eccezionale. Lo guardavo sempre in Nazionale per imparare e per “rubargli” qualche segreto. Mi fa ovviamente piacere essere accostato a lui».

A proposito di Nazionale.
«Ovviamente, l’Argentina è uno dei miei traguardi pensando al Mondiale del 2026».

Palladino dice che nello spogliatoio si è creata una sorta di magia. Lei con una parola come la descriverebbe?
«Gruppo. Tu puoi avere i campioni, puoi avere tanti giocatori forti, ma se alla base non ci sono un atteggiamento giusto e la mentalità giusta poi è tutto inutile. E qui, vi garantisco, c’è un gruppo eccezionale sotto il profilo umano prima ancora che tecnico, composto da calciatori umili, uniti, che mettono l’interesse della squadra sopra a tutto e tutti. Che ogni giorno si allena al Viola Park per aggiungere e mai per togliere».

Sta per rientrare Gudmundsson: ci si vede lei insieme con l’islandese?
«Mi ci vedo benissimo insieme ad Albert. Abbiamo caratteristiche simili ma anche differenti, però dipende dalle scelte dell’allenatore. Che io non discuterò mai: qui siamo in tanti che vogliono e possono giocare. Ripeto, non è mai una questione di ruolo o posizione: a me basta aiutare la squadra».

Fiorentina 25 gol all’attivo, più di due di media a partita e solo l’Atalanta (31) ha fatto meglio: il segreto non segreto di essere così efficaci in attacco?
«Kean».

In effetti...
«Moise è straordinariamente efficace, ma tutta la Fiorentina è diventata concreta e lo dimostra l’abilità di capitalizzare le occasioni che creiamo. C’è una partita che, secondo me, ci ha reso consapevoli di questa dote e non solo questa».

Fiorentina-Milan?
«Anche. Ma mi riferisco alla trasferta di Lecce, ripresa del campionato dopo la sosta e dopo appunto il 2-1 ai rossoneri. Gudmundsson si è fatto male subito, Kean è uscito alla fine del primo tempo, eppure siamo stati capaci di segnare sei gol. Quattro al San Gallo in Conference e altri cinque nella gara successiva contro la Roma. Ecco, Lecce ci ha fatto fare un passo decisivo nella consapevolezza della nostra forza».

Chi l’ha sorpreso di più tra i nuovi compagni?
«Nessuno. O, meglio, tutti e in senso positivo. Estremamente positivo. Non ce n’è uno che non abbia “fame”, che non arrivi al Viola Park con l’intento di allenarsi duramente con la squadra e per la squadra. Tutti i giorni fin dal primo di ritiro».

De Gea quanti punti vale?
«David è un fenomeno (l’espressione ammirata di Beltran a nominare il portiere spagnolo trasmette più di mille parole, ndc). Uno così vale tantissimi punti in campo ed è fondamentale nello spogliatoio, con la sua esperienza accumulata in moltissime stagioni di calcio al massimo livello, con i suoi consigli. Non mi perdo una parola di ciò che dice, perché da quelli come lui c’è tanto da imparare».

Casa Beltran in Argentina al tempo era molto frequentata da Dybala. Mettiamola così in una specie di gioco: chi è più forte tra voi due?
«Paulo è grande amico di mio fratello ed è praticamente uno di famiglia. Ci sentiamo spesso, lo ammiro. Chi è più forte? Sicuramente lui».

A proposito di consigli: è vero che sua madre voleva che facesse il centrocampista e non l’attaccante?
«Racconto un episodio delle mie giovanili. Giocavo trequartista indossando la maglia numero 10, perché fin da bambino volevo avere il pallone tra i piedi (guarda un po’, ndc). Il mio allenatore di allora decise di cambiare sistema di gioco trasformandomi in riferimento offensivo nel 4-3-3. Centravanti, insomma. Un po’ di tempo dopo, a carriera mia già avviata, quell’allenatore incontrandolo mi ha detto: “Visto che avevo ragione?”».

In effetti, tornando al discorso di partenza, al River Plate si è imposto come centravanti e la Fiorentina l’ha acquistata facendo un investimento oneroso.
«Sì, ma mia mamma non voleva lo stesso che giocassi centravanti».

Ride, Beltran, con un sorriso e una risata contagiosi e molto eleganti. Modi che magari usa al chiuso dello spogliatoio per convincere i compagni sugli obiettivi della Fiorentina.
«Credetemi: non solo non li abbiamo nemmeno fissati, ma nemmeno ne parliamo. Vogliamo continuare ad allenarci con impegno. Non abbiamo ancora fatto niente. Ecco: l’obiettivo, a volerne indicare uno, è continuare così pensando sempre a una partita alla volta».

Un anno e mezzo di Firenze per Lucas Beltran: la Fiorentina e i tifosi viola hanno visto il vero Vichingo?
«Stanno cominciando a vederlo. Ora mi sento bene, mi sento importante per la squadra. Per me è fondamentale. Ma non ho ancora fatto nulla».

E il suo sogno è sempre quello dell’estate 2023 quando è arrivato a Firenze?
«Sì, sempre quello. Vincere qualcosa con Fiorentina. Lo scorso anno ci siamo andati vicini: speriamo quest’anno».


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