Bove, la manovra in ambulanza e gli otto minuti che gli hanno salvato la vita

Le manovre salva-vita effettuate durante il tragitto, in ospedale gli esperti ora provano a dare delle risposte
Giorgio Marota
5 min

Gli otto minuti che hanno salvato la vita di Edoardo Bove sono divisi in due finestre temporali: nei primi quattro è stato soccorso in campo, nei successivi quattro ha raggiunto l’ospedale. Il prima, il durante e il dopo quel malore improvviso e tragico restano avvolti da un alone di mistero, sui quali i medici stanno cercando di fare luce. L’unica certezza: non ci sono danni neurologici e cardiovascolari, ed è già un sollievo.

Bove, le cause del malanno

Durante il tragitto «lui non era cosciente», ha spiegato ieri Giovanni Ghini, presidente della Fratellanza militare di Firenze alla quale fa capo l’ambulanza che ha trasportato il calciatore della Viola al policlinico. «In quel tragitto hanno defibrillato e fatto manovre rianimatorie: il problema era ampio». L’assenza di un bollettino ha generato la diffusione di diverse ipotesi, alcune incontrollate. Il centrocampista dovrebbe quindi aver avuto un arresto cardiaco, ma gli esperti tendono a escludere che questo sia avvenuto in campo. «Quando c’è un arresto cardiaco non hai convulsioni come invece le ha avute Bove - è il parere di Leonardo Calò, direttore della cardiologia del Policlinico Casilino, professore ordinario all’Università del Foro Italico e consulente presso la clinica Villa Stuart - e quei quattro minuti a terra sarebbero stati troppi. Potrebbe quindi aver avuto una crisi epilettica e soltanto dopo, in ambulanza, l’arresto. Non è stato rianimato in campo». Il malore potrebbe essere stato causato da un’aritmia, da uno scontro di gioco (una contusione toracica) o da quella che gli esperti chiamano “torsione di punta”, cioè una tachicardia ventricolare che può trasformarsi in fibrillazione e che porta la frequenza del battito tra i 150 e i 300 battiti al minuto. «A salvarlo, in qualsiasi caso, è stata la tempestività dell’intervento», spiega ancora l’esperto. «In Italia siamo a livelli di eccellenza mondiale in termini di prevenzione e cura, ma andrebbe messa meglio a sistema la capacità, da parte di tutti, dai calciatori all’arbitro, di essere rapidi nell’intervento. Bastano dei corsi: saper usare il defibrillatore è fondamentale e possono imparare tutti, perché ti dice anche quali tasti premere. La causa principale di morte è una risposta non così rapida».

La velocità dei soccorsi lo ha salvato

Se infatti i controlli di idoneità sono molto approfonditi, non è altrettanto frequente che un calciatore sia pronto a soccorrere un compagno in difficoltà come ha fatto invece Cataldi. «Apprezziamo ovviamente il gesto, ma l’improvvisazione non è risolutiva - ha aggiunto Ghini - la manovra che è stata fatta inserendo le dita nella bocca di Bove è fortemente sconsigliata. Intanto il paziente può serrare improvvisamente la bocca e si rischia di avere lesioni gravissime alle dita, poi in quel momento si possono fare ferite dentro la bocca il cui sanguinamento può risultare difficile su un paziente di quella natura. Tutti dovrebbero fare i corsi per i soccorsi. Poche ore che possono salvare vite».

Prof Capua: “Ci sono patologie difficili da diagnosticare”

Pochi dubbi sulla capillarità dei controlli nel nostro Paese per avere il “via libera” a scendere in campo. Ce ne ha parlato il prof. Giuseppe Capua, specialista in Medicina Nucleare e Medicina dello Sport: «Si fa un’indagine elettrocardiografica a riposo, il test da sforzo con la bicicletta, l’ecocardiogramma e poi la visita medica generale, più le analisi del sangue e tutte le risonanze per le varie articolazioni. Si aggiunge poi la spirometria che controlla la capacità polmonare». Tutti questi approfondimenti non avvengono solo a inizio stagione, prima della partenza per il ritiro estivo, «bensì con frequenza semestrale». «Ci sono anche patologie imponderabili e maligne, molto difficili da diagnosticare. Come quella di Astori. Le fibrillazioni ventricolari in genere sono quelle maligne che non ti avvertono», ha proseguito Capua. Ma Bove può tornare a giocare? «Dipende - la conclusione del medico - speriamo intanto che ci sia una diagnosi rapida. Eriksen in Italia non potrebbe perché i nostri regolamenti sono più rigidi di quelli inglesi. Ed è una fortuna».


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