Inter, il senso del fallimento

Inter, il senso del fallimento© Inter via Getty Images
Ivan Zazzaroni
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ROMA - Fuori solo Conte, la sua Inter che nei minuti finali è sembrata rantolante. E fuori anche Lukaku che quando serve ad alto livello sparisce. Il calcio italiano era sul punto di ottenere qualcosa di unico e di storico: l’ingresso di quattro squadre negli ottavi di Champions. La potenza e il mistero di quella che avremmo raccontato come un’autentica impresa ha ceduto il campo a qualcosa di non meno enorme, ma più razionalizzabile: il fallimento tecnico di un gruppo costruito per essere protagonista anche in Europa, ma che in tutte e sei le partite del girone non si è mai espresso in modo compiuto. È la conferma che in Champions i muscoli (la forza), i centimetri, la gamba e la volontà non bastano mai: è la tecnica, è l’alta qualità a fare la differenza.
Da oggi qualcuno tornerà a parlare di un’Inter da campionato. L’accusato speciale, inevitabilmente Antonio Conte, “costretto” a misurarsi anche con il peso del suo eccezionale ingaggio, dodici milioni: soprattutto nel momento dell’insuccesso il rapporto qualità-prezzo diventa argomento facile e perciò trattabile e trattato con disinvoltura, da alcuni con sadico piacere. Ad appesantire il significato della sconfitta sono i miracoli compiuti da Atalanta e Lazio, squadre certamente meno nobili e complete e più economiche dell’Inter, che hanno affrontato il percorso europeo con una sfrontatezza e un coraggio impressionanti.
Capace di performance sorprendenti, l’Atalanta ha infatti deciso fin da settembre di non uscire dalla favola: secondo superamento consecutivo della fase a gironi (con 11 punti) soprattutto grazie ai successi di Liverpool e Amsterdam. Gasperini veniva da una settimana tra le più fastidiose eppure ha evitato i contorcimenti e fatto prevalere il gioco e la sua esperienza. I contrasti con Gomez non erano frutto della fantasia e non escludo che qualche altro giocatore possa avere avuto (o abbia) una crisi di rigetto (naturale) nei confronti di un allenatore estremamente esigente, ma gli atalantini non devono dimenticare mai che dietro le tante gioie degli ultimi anni ci sia innanzitutto questo sessantaduenne maestro di calcio.
Dal canto suo la Lazio si è qualificata dopo una ventina d’anni e senza perdere una sola partita: nei primi 75 minuti di ogni match è stata sempre all’altezza della situazione, inoltre il girone che l’ha vista protagonista era tra i più complicati. Ha così realizzato qualcosa di non meno enorme ma più razionalizzabile.
Infine la Juve, l’inseguitrice del grande sogno. È riuscita a passare da prima del girone andando a stravincere al Camp Nou dove le serviva il 3 a 1: l’ha risolta segnando i tre gol necessari senza subirne alcuno. Il Barcellona di Dest, Araujo, Trincao, Langlet e degli svuotati De Jong, Pjanic e Jordi Alba più che il Barça è sembrato un tender (battuta orribile, ma penso che renda l’idea), la panchina a Koeman l’ultimo regalo-scherzo fatto al club da Bartomeu. Tutto ciò non toglie però nulla all’impresa dei campioni d’Italia.


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