Conte, lo scudetto dell'Inter è tutto suo

Conte, lo scudetto dell'Inter è tutto suo© ANSA
Ivan Zazzaroni
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ROMA - Ho visto gente guidare e correre e urlare felice per le strade di Milano, Monza, Brescia, Varese. Ho sentito clacson che strombazzavano, e campane a festa: interista pure il prete. I sorrisi e il suono della sfrenatezza, una straordinaria parentesi di normalità. Per qualche ora migliaia di persone, stavolta senza distinzione di età, si sono liberate dalla prigionia della paura e dei guai. Da troppo tempo, un tempo infinito, non avvertivo sensazioni simili. Qualcosa di forte - e di calcio - in effetti è successo.

Zhang, campioni! Un taglio netto. Con il passato. Con i nove scudetti consecutivi della Juve. Con ritardi di ogni genere, soprattutto societari. Con l’inevitabilità delle proprietà italiane. Con chi il brutto gioco dura poco. Soltanto Conte avrebbe potuto sferrare un deciso colpo di dao all’albo d’oro del campionato. Era stato preso e strapagato per questo e per consumare rivincite: al secondo tentativo ha centrato tre obiettivi su quattro. Il ciclo è ancora un’ipotesi. Il titulo “undici anni dopo Mou” è suo.

Tutto di Conte l’ossessionato e ossessionante, Conte il moltiplicatore di iperboli (l’opera d’arte, il regno interrotto), Conte che vive la sconfitta come fosse un lutto dell’io, Conte dei nemici inesistenti. Ma anche Conte il migliore, guida di campo e di spogliatoio. Conte che un tempo si aggrappava alla panchina e che agli arbitri dà del tu quasi sempre per riprenderli. Conte che abbraccia i suoi come fossero figli. Conte al quale i tifosi interisti hanno rimproverato a lungo la juventinità, fino al suca ad Agnelli. Ma anche Conte che sa tornare sulle proprie idee e rilancia Skriniar, restituisce un senso compiuto e un presente a Darmian, sovraccarica di responsabilità Barella, esalta l’imponenza di Lukaku, mette al centro del gioco Eriksen poche settimane dopo aver pensato di cederlo. 

 

L’Inter si è messa totalmente nelle sue mani, nell’estate 2019, ne ha tollerato gli eccessi e le critiche del primo anno: nella partita interna delle personalità e della competenza, Conte ha però stravinto e salvato l’Inter. Conte l’abbiamo descritto e raccontato centinaia di volte, raramente con accenti e parole originali. Anche perché dalla richiesta della bolgia juventina all’opera d’arte interista, lui non è mai cambiato. Eppure di anni ed esperienze, di soddisfazioni e delusioni ne ha consumati tanti.

Per l’occasione, un doppio omaggio, ho ripreso un passaggio di Gianni Mura. Siamo nel giugno del 2016, Antonio è il selezionatore della Nazionale, il ruolo meno suo, troppo distante dalla sua natura di allenatore di campo. «Traduzioni in tutte le lingue del neologismo in voga - “contisme”, in francese, è la più immediata - inducono al ripasso del concetto, studiato ai tempi della Juve. Consiste nella totale immersione nel lavoro, di campo e tattico. Mira alla vittoria, sempre e contro chiunque, azzerando le lacune tecniche degli interpreti grazie agli schemi, alla preparazione fisica e alla dedizione quotidiana. Si realizza attraverso superiori nozioni di tattica, impartite ai calciatori fino alla nausea. Si fonda sul dogma che gli allenatori italiani siano i più preparati tatticamente: Conte assurge a simbolo di una categoria. «I nostri giocatori sanno sempre che cosa fare, quando attaccano e quando difendono. Gli altri, invece, spesso improvvisano e sono ingessati a un modulo prevedibile»: la sintesi è di Gasperini, tattico di provata fama e teorico del camaleontismo. È come un autista di pullman (sempre Mura): non si ferma nemmeno per un bicchiere d’acqua, non esce mai di strada, non si addormenta. Fa il suo lavoro. 


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