Lazio-Inter: Inzaghi e un mondo capovolto

Dopo ventidue anni con la maglia biancoceleste domani Simone rientrerà allo stadio Olimpico come allenatore dei nerazzurri: un’emozione nuova e anche inaspettata
Lazio-Inter: Inzaghi e un mondo capovolto
Alberto Dalla Palma
5 min

Il 13 settembre del 1998 Simone Inzaghi debuttò in serie A: Piacenza-Lazio, 1-1, subito un gol. «Questo è ancora più bravo di Filippo, se solo avesse la sua cattiveria sotto porta. Ma di talento ne ha eccome» raccontava il suo allenatore, Beppe Materazzi, un altro laziale adottato nel tempo. Il destino si è colorato subito di biancoceleste, diventando un vero e proprio colpo di fulmine. Perché a meno di un anno di distanza, Sergio Cragnotti, subito dopo aver venduto Vieri all’Inter per 90 miliardi di lire (compreso il cartellino del Cholo Simeone, l’uomo dello scudetto 2000), acquistò proprio Inzaghino, 23 anni, una faccia d’angelo e una carriera da predestinato. «Io ci credo, questo è l’attaccante giusto, perché è giovane e scaltro. Piace anche a Mancini». Figuriamoci, dopo aver avuto il timbro dall’attuale ct campione d’Europa, il finanziere di Porta Metronia concluse l’affare con il Piacenza in meno di una giornata. Badava al sodo e non alle spese. Il 16 ottobre, cioè oggi, Simone rientrerà nello stadio Olimpico con un’altra divisa. Sono passati quasi 23 anni, mezza vita per un uomo che il 5 aprile scorso ha festeggiato i 45. Adesso allena l’Inter, la squadra campione d’Italia. Una sfi da colossale, iniziatasi nella notte tra il 26 e il 27 maggio, quando il club nerazzurro lo contattò al cellulare con l’aiuto di Tullio Tinti, il manager di riferimento della famiglia Inzaghi. Lui era appena stato a cena con Claudio Lotito, che gli aveva proposto il rinnovo di un con- tratto in scadenza. «La data mettila tu, per noi sei l’allenatore a vita della Lazio» gli disse il presidente, che aveva davvero tirato la corda per troppi mesi. Un’emozione nuova e improvvisa: Inzaghino aspettava da molto tempo quella chiamata, era l’unico tecnico iscritto alla Champions League con un accordo a termine. Eppure erano stati cinque anni intensi, costruiti sui gol di Ciro Immobile, la fantasia di Luis Alberto, la prepotenza di Milinkovic-Savic, gli scatti di Correa e la regia di Lucas Leiva. Tre i trofei conquistati: una Coppa Italia e due Supercoppe d’Italia, la seconda battendo 3-1 la Juve di Sarri, che oggi è il suo successore. Poi anche il record di imbattibilità della squadra: 21 partite consecutive a punti, si respirava un’aria da scudetto a Formello prima che esplodesse il Covid. Ma da giocatore Inzaghino era stato ancora più bravo, ovviamente sostenuto da una Lazio stellare: uno scudetto, 3 Coppe Italia, 2 Supercoppe d’Italia, 1 Supercoppa europea. Più il record di gol realizzati nelle manifestazioni internazionali (20) e il record di maggior numero di reti segnate in una sola partita di Champions (4, nel corso di Lazio-Marsiglia del 14 marzo del 2000) [...]

Inzaghi e il desiderio di allenare la Lazio

[...] Il 3 aprile del 2016, prendendo il posto di Pioli dopo aver vinto 2 Coppe Italia e una Supercoppa d’Italia con la Primavera, ha esaudito il sogno della vita. Allenare la Lazio, come diceva ogni volta che con Gaia passava davanti allo stadio Olimpico. Poco più di due mesi, poi quasi la fine. Lotito voleva mandare Inzaghi a Salerno per assumere Bielsa, con cui aveva già raggiunto un accordo. L’ostinazione di Simone è stata quasi ossessiva, come quando si soff erma davanti al video per studiare le contromosse tattiche. Si è messo sul-a riva del fi ume, ad aspettare come i cinesi. Non avrebbe sopportato un divorzio immediato. E ha vinto, perché Bielsa a Roma non ha fatto neanche in tempo ad arrivare: troppo distante dalle abitudini del calcio italiano e dalla filosofia di gestione di Lotito, con cui Inzaghino ha imparato a convivere tra una lite furibonda e qualche abbraccio intenso. Cinque anni tra alti (molti e anche emozionanti) e bassi (pochi, ma inevitabili), poi la rottura. «Mi sono chiuso in camera, con la testa tra le mani. Vado all’Inter o resto alla Lazio per sempre?». Simone ha scelto l’Inter perché è un allenatore ambizioso. Ovvio che il cuore è a pezzi e che oggi, osservando il centro della curva Nord, dovrà concentrarsi e stare molto attento. Non dovrà più accompagnare a bordo campo, come un compagno di squadra, gli scatti di Immobile («mi sentivo uno di loro, come fossi al centro dell’azione...») ma la sapiente regia offensiva di Dzeko. Il suo mondo si è capovolto.

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