Inter-Venezia 2-1, i cambi strategici di Inzaghi

Inter-Venezia 2-1, i cambi strategici di Inzaghi© Inter via Getty Images
Alessandro Barbano
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Uno si chiede perché ne cambi cinque e lasci dentro un fantasma come Dzeko, spompato e confuso per novanta minuti. Diavolo d’un Inzaghi, ma che ti avrà preso? Ci piacerebbe dire che il caso arride al tecnico nerazzurro, non foss’altro perché quella domanda ci è rimasta in gola, come un boccone di traverso. Non è così. La liturgia delle sostituzioni è tutt’uno con la filosofia del più razionale allenatore del campionato. Al sessantesimo escono gli ammoniti e i talenti in giornata no. Il finale tocca agli esperti, perché la vittoria è un pensiero fisso sottratto agli umori e coltivato con una perseveranza scientifica.
Quelli come Dzeko, e come Sanchez, hanno una dotazione di carattere in più, che dopo il novantesimo vale come l’oro. Quando uno normale corre con il ticchettio del cronometro nella testa, che gli toglie il fiato e gli deprime lo spirito, loro cercano il varco dove passa l’ultimo attimo fuggente. Magari sbagliano. Però ci provano fino alla fine. Guardate la determinazione con cui Dzeko trova il piazzamento giusto, poco davanti al dischetto. Guardate la freschezza dello stacco, la convinzione con cui la testa dice alla palla: lì devi andare, ora o mai più. Così anche Sanchez nel finale di Coppa con la Juve. Se rivedete le immagini dei due gol, nella fase che li precede, vi rendete conto che il bosniaco e il cileno non sbaglieranno. Perché sono quel di più che ha l’Inter rispetto agli altri. Quel di più che Inzaghi amministra con la sagacia di chi s’intende di gol.
Poi certo, di mezzo c’è Sensi che, pure lui, colpisce da maestro quando l’Empoli si illude di uscire da San Siro con la qualificazione. Ma anche qui c’è dietro l’anima di un tecnico che la partita la gioca tutta intera, in un crescendo di tono che non risente del risultato. È la grande dote che Inzaghi porta appresso con sé, dalla sorprendente Lazio del primo campionato pandemico all’Inter scudettata. E che al momento gli rende cinque punti sul Milan e sette sul Napoli.
Non è una distanza incolmabile. Ma soprattutto, non sappiamo se sia tutto frutto solo del divario di maturità tra l’Inter e le rivali, o anche delle asimmetrie del calendario. La partita contro il Venezia lascia aperto qualche dubbio. Perché al netto della spietatezza delle sue vecchie volpi, la squadra di Inzaghi non pare in uno stato di grazia, ancorché venga da due partite di Coppa di due ore ciascuna. Contro un Venezia arroccato nella sua tre quarti con cinque difensori e tre in mediana, l’Inter fa fatica a far girare la palla con la velocità che serve per aprire qualche varco nella corta e ordinata rete di Zanetti. A centrocampo non tutto è perfetto. A dispetto del grande lavoro di Brozovic, la capacità di penetrazione dei nerazzurri risente troppo del genio intermittente di Calhanoglu, cui manca la personalità e la continuità che ci si aspetta da un vero regista offensivo.
Ogni dubbio sarà fugato tra il 6 e il 13 febbraio, quando i nerazzurri affronteranno il Milan e la Roma a San Siro e il Napoli al Maradona. Alla fine di questo mini torneo degli scontri diretti tra le big, non sapremo chi vincerà il campionato, ma sapremo senza dubbio chi è più forte, e chi ha più chance per andare in fuga.
Inzaghi ha già detto quello che doveva. Pioli deve spiegare se le crisi di metà stagione sono per il Milan un difetto di struttura. Spalletti deve dimostrare se, tornati tutti i titolari che contano, sa rimettere in piedi quel palleggio veloce che non fa prigionieri. Se ci riesce, la lotta per lo scudetto sarà aperta sino all’ultimo.


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