Inter, una spinta per lo scudetto

Inter, una spinta per lo scudetto© Inter via Getty Images
Alessandro Barbano
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È una vittoria inutile per la Champions, ma preziosa per lo scudetto, quella che l’Inter strappa a Liverpool. Tanto deve esserne stato convinto Inzaghi che, dopo il vantaggio di Lautaro e l’espulsione di Sanchez, ha rinunciato a osare il tutto per tutto sbilanciando la squadra in avanti, e ha invece operato tre sostituzioni di ruolo per mantenere l’equilibrio tattico e proteggere un risultato che ha un valore simbolico enorme per lo spogliatoio. Ha fatto bene, confermandosi il più razionale dei tecnici della serie A. Da ieri sera pesa sulle sue spalle l’obiettivo pesante di ripetere l’impresa di Antonio Conte in undici turni, senza poter contare su quella macchina da gol che è stato Lukaku. Lautaro si è sbloccato, facendo leva sulla testardaggine del suo egoismo, la stessa che però prima del gol capolavoro gli è costata due regali ai Reds in zona tiro. Questo per dire che l’argentino e Dzeko insieme non fanno il supereroe belga partito al Chelsea, allo stesso modo con cui Dumfries non è che la controfigura di Hakimi. Però Inzaghi ha trasformato Brozovic, dal buon regista che era, in uno straordinario uomo squadra, dotato di un’ubiquità, una visione, un’autorevolezza che da sole fanno la metà dei successi nerazzurri. E ha valorizzato pedine preziose come Sanchez e lo stesso Vidal, integrandoli nel gioco con maggiore fortuna del suo predecessore.
La vittoria di Liverpool è un’impresa che fa onore, orgoglio e bagaglio d’esperienza anche per quei talenti come Bastoni, capaci di fare il meglio che si può per contenere un fuoriclasse come Salah. Ma, nascosto dietro il risultato e dietro i tre pali colpiti dai padroni di casa, c’è intatto il divario tra l’Inter e il Liverpool, che è poi la distanza tra il calcio italiano e quello inglese. La formazione di Klopp resta una delle squadre da battere in Europa. Per la ricchezza delle sue varianti tattiche, per la determinazione con cui aggredisce l’avversario e finalizza le sue verticalizzazioni, e per la qualità di alcuni solisti che, nei rispettivi ruoli, sono irraggiungibili. Come Van Dijk, il gigante più rapido, più elegante e meglio piazzato d’Europa nel ruolo di centrale, Thiago Alcantara, un regista che ricorda il miglior Pjanic che fu, Alexander-Arnold, un terzino con una dotazione tecnica da trequartista e, più di tutti, l’indomabile egiziano, il più grande rimpianto del calcio giallorosso.
Contro questi fenomeni l’Inter orfano di Barella ha mostrato un carattere che non poteva bastare per passare il turno. Ma che serve per crederci di più nella lotta per lo scudetto, dopo un mese e mezzo intermittente in cui la squadra di Inzaghi ha subito il sorpasso del Milan e ha scoperto una crisi del gol, pur avendone segnati fin qui più di chiunque. Il bottino di fiducia con cui Inzaghi lascia l’Inghilterra è un balsamo capace di azzerare il dolore per la Champions perduta. A una notte magica non era lecito chiedere di più.


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