La diversità di Simone Inzaghi

Leggi il commento del Direttore del Corriere dello Sport-Stadio sull'allenatore dell'Inter che contenderà la Champions League al Manchester City di Guardiola
La diversità di Simone Inzaghi© Getty Images
Ivan Zazzaroni
4 min

Era il 20 maggio del ’98. Un paio d’ore prima della finale di Champions tra Juve e Real incrociai Simone fuori dall’Amsterdam Arena. Era con i genitori: la Inzaghi family non poteva proprio mancare al primo grande appuntamento di Pippo, non ancora venticinquenne eppure titolarissimo. Simone di anni ne aveva 22 e aveva appena concluso il campionato nel Brescello, in C1, ventuno presenze e una montagna di ambizioni. Sorridente e intimidito, era under control di Giancarlo, il padre, e Marina, la madre; controllo che i due avrebbero (hanno) esercitato a lungo: esiste una ricca letteratura sulla partecipazione della coppia alla vita dei figli, ormai ultraquarantenni.

Fratelli Inzaghi, destini opposti

Un quarto di secolo dopo, Simone siede sulla panchina dell’Inter finalista di Champions a Istanbul e sta per affrontare il City di Guardiola, una delle due squadre più ricche del mondo, la più forte del momento. Con gli Inzaghi la vita e il calcio sono stati generosi e democratici, in un curioso gioco del destino e della fantasia: a Pippo hanno consegnato il talento del grande goleador, togliendo un po’ di fortuna all’allenatore; a Simone è toccato il contrario. Entrambi si sono meritati quello che si sono presi. Confesso di aver pensato spesso che Pippo e Simone fossero una sola persona ma con due caratteri. Come tali si sono sempre comportati, invidia mai: ho letto quello che Pippo ha detto a Giordano del fratello, non una sola battuta mi ha sorpreso. Da calciatore, Simone ha vissuto momenti anche difficili, di irresolutezza. Non immaginavo che da una crisi personale potesse uscire un uomo compiuto e un tecnico vincente, la cui dote principale è l’autocontrollo, associato a una notevole determinazione.

La maturazione di Simone

Arrivato sulla panchina della Lazio quasi per caso - era destinato alla Salernitana, soltanto il dietrofront di Bielsa gli aprì le porte della serie A -, Simone non ha fatto questioni, ha lavorato ed è maturato molto in fretta confrontandosi e anche battagliando o lamentandosi con Lotito e Tare, una sorta di master in psicologia del calcio, o forse in psicanalisi. Anche all’Inter è stato la seconda opzione - Allegri la prima - ma ha dimostrato di essere una scelta centratissima. Tiferò per lui. Perché ha una bella storia semplice ed è un professionista che, fedele a un nucleo preciso di elementi e certezze, ci ha creduto e ancora ci crede. Certo, ha trovato in Giancarlo, Marina e Pippo i dirigenti più vicini e presenti. PS. Quel che temo stasera è il nuovo Guardiola: è molto cambiato, è più fatalista e non cerca più di stupire il mondo. Per lui ora esiste anche l’avversario.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Inter, i migliori video