Lewandowski: nei suoi dubbi la forza della Juventus

Da tempo è in rotta con il Bayern, di cui ha criticato anche le scelte di mercato. E ha già comunicato di voler andare via...
Lewandowski: nei suoi dubbi la forza della Juventus© EPA
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BERLINO (Germania) - Carlo Ancelotti due anni fa riuscì a trattenere Robert Lewandowski al Bayern. Fu il primo successo di Carlo, allo sbarco in Germania. «Ancelotti mi telefonò durante le vacanze in Polonia – ha raccontato l’obiettivo mancato del Real Madrid -. Le sue parole furono molto importanti per me. Fui molto fiero del fatto che un personaggio così celebre appena arrivato mi dichiarasse subito incedibile». Adesso, il croato Niko Kovac, nuovo allenatore dei campioni di Germania dopo il congedo di Jupp Heynckes, farebbe ugualmente carte false pur di non perderlo. Però, dopo mesi e mesi di ruvide incomprensioni, stavolta RL9 pare proprio non avere più dubbi. «Me ne vado» è stato il suo annuncio alla società, trasmesso dal ritiro della Polonia, tra i boschi di Arlamov. Il suo messaggero è stato il nuovo agente Pini Zahavi.

SCENARIO - Chi c’è dietro il procuratore israeliano? Si fanno nomi di club eccellenti. Dopo il Paris Saint Germain, è sbucato nella prateria dei rumors il Chelsea, poi anche il Manchester United. Un piatto ricchissimo per la qualità del bomber polacco. Reso ancora più ricco dalla Juventus al tavolo di gioco: se davvero il club bianconero decidesse di cedere Higuain, per rientrare dell’investimento di due anni fa prima che il Pipita vada troppo in là con gli anni, avrebbe individuato in Lewandowski il profilo ideale per sostutire l’argentino nel cuore dell’attacco di Allegri. Sarebbe un’asta da ingelosire la borsa di Francoforte, con una base di partenza intorno ai 100 milioni. Se non fosse che il Bayern non ci sta. Anzitutto, perché di questi tempi è quasi impossibile trovare un sostituto adeguato. Nè va sottovalutata la tradizione monacense di non darla vinta ai giocatori. Ribery, anni fa, dovette rassegnarsi a scartare le offerte faraoniche del Manchester United. Lo stesso accadde a Thomas Müller, anche lui corteggiatissimo dai Red Devils ai tempi di Van Gaal. Il direttore generale Karl-Heinz Rummenigge si oppone per una questione d’orgoglio identitario. “Mia san mia” (Noi siamo noi) la parola d’ordine delle truppe dell’imperatore Francesco Giuseppe, la fanteria con l’elmo chiodato, è diventato il motto del club monacense. Hanno dovuto recitarlo a memoria anche Trapattoni, Rizzitelli, Toni e Ancelotti, prima ancora di infilarsi gli obbligatori pantaloni di cuoio alla tirolese.

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