Paratici: «Ronaldo? Non è stata la mia trattativa più lunga»

Il ds della Juve: «Tevez è stato il mio chiodo fisso. Conte voleva calciatori funzionali al suo gioco, Allegri più elastico»
Paratici: «Ronaldo? Non è stata la mia trattativa più lunga»© LAPRESSE

TORINO - È un Fabio Paratici a 360° quello che ha parlato Sky Sport nel primo appuntamento con “Il Codice”, rubrica che prevede cinque interviste ad altrettanti direttori sportivi di Serie A (i prossimi saranno Piero Ausilio dell'Inter, Igli Tare della Lazio, Monchi della Roma e Cristiano Giuntoli del Napoli). Ecco l'intervista al ds della Juve

Qual era il segreto della coppia Marotta-Paratici?
«Credo che fossimo molto ben assortiti, complementari. Nel senso che io mi occupavo di una parte prettamente tecnica, lo scouting, il rapporto con gli agenti, individuare i calciatori».

Alla fine il calciatore lo individuavi tu...
«Sì, poi c’era il confronto con lui, che è una persona molto esperta, che conosce il calcio e che conosce molto bene i numeri, fino a dove si poteva arrivare in una trattativa. Diciamo che la cosa migliore era il fatto di essere ben assortiti. Io portavo avanti fino all’ultima fase, dove lui interveniva con la sua esperienza e mi aiutava a fare meno errori possibili».


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Il tuo primo tesserino?
«Io sono nato in questo paese (Borgonovo, ndr), dove mio padre era il presidente della squadra che giocava in prima categoria in questi campionati dilettantistici. Quindi il mio primo tesserino l’ho firmato con il mio papà e mio padre ha firmato anche il primo trasferimento, quando a 14 anni sono passato dalla Borgonovese al Piacenza».

Quindi il DNA delle trattative di mercato nasce da tuo padre?
«Io mi ricordo quando mio padre mi portava ai famosi tornei estivi, il calcio dilettantistico viveva di questi incontri. Io ero piccolo, avevo 6, 8, 10 anni e andavo spesso. Probabilmente anche quello ha inciso».

Da calciatore hai marcato Mazzarri...
«Al mio esordio tra i professionisti c’era ancora la famosa marcatura a uomo e in un Piacenza-Modena finì 1-0 per il Modena. Non segnò Mazzarri, fortunatamente per me (sorride, ndr)».


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Com’è il mercato Paratici? È vero che sei uno che va su tanti giocatori contemporaneamente, anche un po’ per disturbare o far pagare di più le concorrenti?
«Sì, ma credo che quella sia un po’ una cosa di tutti. Nel mio caso non è nemmeno troppo una strategia. È che sono ossessionato dal riconoscere. Quindi quando vedo o leggo o sento dagli agenti, o dalle persone che mi informano, che qualcuno sta trattando un giocatore, la mia più grande dote credo che sia la curiosità di sapere com’è quel giocatore. Questa è una cosa che mi stimola molto. Quindi a volte faccio azioni di disturbo anche non volendo strategicamente. È proprio una questione di conoscere e di sapere, ma quando poi ti informi su un giocatore logicamente lo collegano alla tua squadra e anche tu diventi un potenziale pretendente».

Qual è stata la trattativa che ti ha logorato di più?
«Credo che, nella durata, sia stato Tevez. Alla fine, è stato un giocatore che abbiamo contattato alla fine del primo anno alla Juve, quando non facemmo una bella stagione, dovevamo rilanciare la Juve e contattammo ugualmente Tevez, anche se non eravamo qualificati per la Champions. I grandi giocatori, quando non giochi la Champions, fanno fatica a venire. Però lui disse subito “Sì, anche se non siamo in Champions, io alla Juve verrei”. Poi la trattativa non è andata in porto per altri motivi, economici e via dicendo, però siamo sempre rimasti in contatto perché è sempre stato un mio chiodo fisso portare Tevez alla Juve».

Cristiano Ronaldo?
«Con Cristiano è stato abbastanza semplice perché lui aveva in testa di venire alla Juve. Non c’è stato bisogno di convincerlo tanto. Io credo intorno al 25 di maggio, dopo la finale di Champions. Lui è stato subito deciso, ha detto “Io, se la Juve c’è, voglio solo la Juve”. Quando ci siamo visti con Mendez, parlando di Cancelo. La cosa nasce da questo. Lui ha detto “Tu non ci credi, però Cristiano vuole venire alla Juve. Io risposi “Non è che non ci credo, ma mi sembra difficile riuscire a far quadrare tutto”. Il Presidente è una persona molto presente nella nostra vita quotidiana perché è sempre con noi, o comunque sempre raggiungibile. Ci si può incontrare facilmente. Eravamo in giorni di programmazione, questo non era programmato, ma io gli ho detto “Ci sarebbe una opportunità, l’importante è che mi ascolti fino alla fine. Sai, quando ti presenti nel suo ufficio e gli dici che devi comprare Cristiano Ronaldo… è una beklla notizia sportiva, ma poi c’è tutta un’altra parte. Lui capì subito. Credo di averci messo un minuto a capire che lui stava già ragionando in quella direzione. Quando sono uscito dall’ufficio ho creduto che potessimo arrivarci. Lui mi ha detto “Fammici pensare un giorno o due”, ma mi ha telefonato dopo 3 ore. Per redigere tutti i contratti ci siamo chiusi in una villa sul Lago Maggiore per un giorno intero con tutti gli avvocati della Juve e del calciatore».


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Il mercato di Conte e quello di Allegri...
«Conte era legato alla funzionalità del giocatore rispetto a quello che voleva fare lui, che è una cosa legittima, anzi, facilita anche il lavoro di chi deve cercarti i calciatori. Lui aveva uno schema di gioco e, giustamente, bisognava cercare di trovare giocatori funzionali ad uno schema di gioco. Allegri, in questo senso, è più elastico, non ha solo un sistema di gioco, è più aperto, ha più soluzioni. Quindi il mercato di amplia un po’ di più. Io mi reputo fortunato anche solo per il fatto di poter vedere, da appassionato di calcio, tutti i giorni, da 10 anni, i più grandi calciatori dell’ultimo decennio. Mi sono goduto Pirlo, Vidal, Pogba, Dani Alves, Buffon. La Champions League».

Vincere la Champions?
«È una nostra ambizione, ma non un’ossessione»


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Qual era il segreto della coppia Marotta-Paratici?
«Credo che fossimo molto ben assortiti, complementari. Nel senso che io mi occupavo di una parte prettamente tecnica, lo scouting, il rapporto con gli agenti, individuare i calciatori».

Alla fine il calciatore lo individuavi tu...
«Sì, poi c’era il confronto con lui, che è una persona molto esperta, che conosce il calcio e che conosce molto bene i numeri, fino a dove si poteva arrivare in una trattativa. Diciamo che la cosa migliore era il fatto di essere ben assortiti. Io portavo avanti fino all’ultima fase, dove lui interveniva con la sua esperienza e mi aiutava a fare meno errori possibili».


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