Ecco come gli ultrà ricattavano la Juve

Dentro l'inchiesta Last Banner e le sue tinte più fosche: un sistema di lucro smantellato
Ecco come gli ultrà ricattavano la Juve© LAPRESSE
Fabio Massimo Splendore
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TORINO - "Puoi andare a dirglielo che noi ci ricordiamo tutto di quando lui (il presidente Agnelli), D’Angelo e Marotta hanno incontrato la famiglia Dominello a Napoli e che quindi per questo saremo noi a chiamare Report, così vi rompiamo il c...". No, nella loro logica non si potevano ridurre a 50 i biglietti per i Drughi in vista di Ajax-Juventus. E Domenico Scarano, uno dei colonnelli di Dino Mocciola, il capo del gruppo ultrà di vertice della Curva Sud, lo disse senza usare mezzi termini (come riporta l’Ansa) allo Slo del club bianconero, Alberto Pairetto. Di biglietti ne avrebbero voluti almeno il doppio, la Juve disse no. In questo dialogo si può cogliere il senso di quello che l’operazione Last Banner della Digos di Torino ha voluto azzerare. Un sistema minatorio, ricattatorio, che i gruppi ultrà della Curva Sud bianconera avevano messo in piedi dopo il giro di vite partito un anno fa. Le richieste che andavano in vigore più o meno dal 2014, erano state tutte ridimensionate o depennate. La Juve si sentiva dentro un meccanismo troppo più grande e in una escalation rischiosissima. Un anno prima il procuratore federale Giuseppe Pecoraro, uomo delle istituzioni, vice capo della Polizia e prefetto di Roma prima, aveva chiuso una inchiesta con 700.000 euro di multa al club (aveva preso le mosse da Alto Piemonte). Un anno dopo la scelta consapevole di collaborare, di contribuire a spezzare il sistema malato.

Chiarissima la filosofia, netto il modus operandi che trapela dalle oltre 110 pagine dell’ordinanza che ha portato alle 12 misure cautelari (con 37 indagati) dopo l’inchiesta della Digos di Torino diretta da Carlo Ambra: "per gli ultrà quello delle coreografie era un servizio da pagare, da risarcire". Come? "Con 25 biglietti gratuti a partita per ogni gruppo, con un borsone pieno di materale sportivo almeno una volta l’anno, con inviti alle feste istituzionali senza limiti di numero", sono le condizioni raccolte nell’inchiesta che ha inchiodato i responsabili. E così, quando sono arrivati i primi no, quando all’inizio della stagione 2018-2019 la Juventus, di concerto con la Questura, ha variato il regolamento d’uso vietando la vendita di tutto ciò che non avesse il marchio ufficiale del club, è arrivato il colpo letale al merchandising dei gruppi. Niente biglietti per gli striscionisti? Un altro colonnello dei Drughi, Salvatore Cava, è sbottato: "Se la Questura ha detto no fate un fondo cassa, mettete a un euro e vi evitate qualcosa". Pairetto cercava di spiegare. E Cava incalzava: "Allora la mia richiesta adesso è 35 striscionisti, ce li dai? (...) Appunto, allora, allora non scherzate se siete quotati in Borsa". Il problema era il fatturato: centinaia di migliaia di euro (solo 20.000 il guadagno da una partita di 180 tagliandi per due gare con Ajax e Milan) che non potevano andare in fumo. E poi l’autoriciclaggio, il bagarinaggio imprenditoriale. Una cassaforte svuotata dagli investigatori.

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