Ronaldo, delizia e croce di un Cristiano

Ronaldo, delizia e croce di un Cristiano© Juventus FC via Getty Images
Alessandro Barbano
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Un’impresa sportivamente storica, il nono scudetto di fila, arriva in un momento in cui la storia passa nella cruna stretta di una tragedia globale, la pandemia, che assedia, insieme con la vita, anche il calcio. E i tremila giorni da campione d’Italia della Juventus - dal 6 maggio del 2012 al 26 luglio 2020 - segnano una signoria che resta immobile mentre, tutto attorno, il mondo cambia.
Però quest’impresa ha la forma mediocre di un successo stiracchiato, a cui si giunge dopo un campionato sofferto, segnato da molte cadute inattese, annebbiato da un’incertezza tattica che per tutta la stagione ha declinato la creatività in confusione. Per questo la gioia per il tricolore, che resta attaccato alla maglia bianconera come una calamita, convive con un bisogno di conferme a cui manca l’ultima parola. È questa la fotografia dello scudetto di Ronaldo, l’autore ieri del gol della vittoria e il più ingombrante degli eroi sportivi, delizia e croce di una squadra che vince ma continua a non piacere.
Di questa storia controversa ci sono almeno due racconti possibili, ma di entrambi il trentacinquenne portoghese è protagonista assoluto. Il primo ci interpella su cosa sarebbe stato il traballante primato bianconero senza i suoi 31 gol e i suoi 6 assist. La risposta è scontata: CR7 è stato decisivo in molte occasioni, perché ha firmato la vittoria o il pareggio finale portando in dote 27 punti, e perché ha segnato per ben 13 volte il primo gol del match. E svettando in sospensione a due metri e cinquantasei di altezza – in Samp-Juve dell’andata – per raccogliere e incornare un pallone fuori misura per chiunque, ha dimostrato che la sua natura bionica sfida con successo anche l’usura degli anni.
Ma c’è un secondo racconto, uguale e contrario, che mostra il lato oscuro del campione. Ci dice che Ronaldo gioca sempre dove vuole, e costringe un allenatore tattico e direttivo come Sarri ad andare… in analisi, e a reinventarsi come un tecnico motivatore di campioni che, negli ultimi trenta metri, decidono tutto da sé. Di più, Cristiano è un giocatore sciolto dalle leggi che regolano lo spogliatoio. Perché non è sostituibile. È accaduto due volte e il tecnico ha dovuto pentirsene. Cosicché l’altra faccia delle 32 partite sempre da titolare di Ronaldo sono le appena 25 di Dybala, che pure ha portato in dote alla Juve 11 gol e altrettanti assist, ma ha rimesso la tuta prima del finale 18 volte, spesso con il magone stampato in faccia. Questo per dire che il nono scudetto della Juve è scritto insieme sull’energia vitale e sul conflitto non dichiarato, ancorché visibile, di due giocatori diversi per natura e per generazione.
L’incompiutezza che viene rimproverata a Sarri non può non tener conto di quanto ricco e insieme problematico sia il patrimonio sportivo che il tecnico è stato chiamato a valorizzare. Il successo finale non era perciò scontato, anche se sta intero nella superiore dotazione tecnica che la Juve esprime rispetto a tutte le altre sfi danti della stagione. Ma l’illusione che il primo posto fosse tornato dopo otto anni contendibile, svanita nel finale, era figlia di contraddizioni che sono lungi dall’essere risolte dallo scudetto. E che la Champions metterà di fronte a una prova ancora più decisiva.
Se Sarri la superasse a pieni voti, bissando il successo ottenuto in Europa League con il Chelsea, vorrebbe dire che ha raggiunto la maturità esemplare che richiede una squadra così complicata. A quel punto anche i giochisti, orfani delle sue perfette geometrie napoletane, dovrebbero arrendersi alla dura evidenza che nel calcio l’estetica e il risultato non sono sempre compagni di strada.


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