Juve, i rosablù di Allegri

Juve, i rosablù di Allegri© Juventus FC via Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Non lo fanno per vendere più magliette, ma per confondere spettatori e critica. Da anni se ne vedono di tutti i colori - seconde e terze maglie, oltre alle celebrative, che sembrano disegnate per il gusto della provocazione -: il tifoso rossoblù che è in me deve però ammettere che a Juve-Bologna a colori invertiti avrebbe volentieri rinunciato (la muta gialla fa parte della tradizione stavo per scrivere bianconera).

Devo parlare della partita? Non c’è stata. Thiago Motta, alla seconda uscita, procede ancora per tentativi: la coppia centrale Bonifazi-Sosa, ad esempio, l’ho trovata inquietante, così come il tentativo di palleggio che si è scontrato con la qualità degli interpreti cancellando il pragmatismo battagliero di Mihajlovic.  
I rosablù di Allegri, che ha ritrovato Milik, Alex Sandro, Rabiot e Locatelli e giustamente rinunciato per un’ora a Paredes, hanno così ripetuto la prova d’apertura col Sassuolo: inefficace come allora l’opposizione. Soltanto sabato a Milano potremo verificare se il campionato della Juve reale, e non più virtuale, è effettivamente ricominciato.

Le partite sono soltanto otto, le prime in crisi quattro. La new entry è la Fiorentina che immaginavo potesse partire decisamente meglio. Cinque, al momento, le piazze sotto comprensibile euforia: Napoli, Milan, Atalanta, Lazio e Roma.
Molto è spiegabile: durante l’estate le prime due hanno investito sulla competenza, il vaccino più efficace contro il virus che devasta i bilanci e qualche testa presidenziale, e si godono i frutti di campagne acquisti acute, non umorali, in alcuni casi impopolari e inizialmente contestate (sinceri complimenti alle coppie Giuntoli-Micheli e Maldini-Massara). L’Atalanta ha tagliato con il passato fidandosi soprattutto delle enormi capacità di Gasperini che ha avuto la sensibilità di cambiare registro: la sua concretezza è un valore, non a caso ha subìto 7 gol in meno rispetto allo scorso anno, quasi uno a partita.

Dietro la brillante posizione in classifica della Lazio ci sono il secondo anno di Sarri e le intuizioni di Tare che dopo la sconfitta con il Napoli in casa confessò di credere, e non poco, nella squadra: «Ci sono tutti i presupposti per fare molto bene quest’anno, bel gruppo e tanta qualità».
La Roma, invece, ha fatto di necessità virtù, migliorando in qualità attraverso le opportunità colte da Mourinho “grandi palle” e Pinto.

Le maggiori difficoltà le stanno incontrando Inter, Juve e Samp. Contro la Roma non ho visto un’Inter da 12 punti su 24: soltanto dopo il 2-1 ha prevalso la paura di sbagliare e perdere che non ha risparmiato Inzaghi, il quale ha tentato di tutto per recuperare una partita compromessa. Al di là del nervosismo - inspiegabile da fuori - di Barella e dell’errore di posizionamento sul calcio di punizione battuto da Pellegrini che ha portato al gol di Smalling, non si sono ripetuti i cali atletici e di concentrazione di Udine; lo stesso Asllani è progressivamente cresciuto, così come Bastoni e Acerbi. Certo, quattro sconfitte in otto gare non sono uno scherzo, poiché impongono un’accelerazione immediata e costante. L’obiettivo dell’Inter, al momento, non può che essere un posto tra le prime quattro.

È ancora presto per trarre delle conclusioni relativamente alle differenze tra questa stagione e la precedente, segnalo un particolare curioso: un anno fa Napoli, Milan, Inter, Roma, Juventus, Lazio e Atalanta avevano segnato complessivamente 120 reti subendone 63; ora siamo a 99 contro 50. O gli attaccanti stanno attraversando un periodo di magra oppure gli allenatori sono ripartiti dalla base, la difesa.

Assenti in Nazionale presenti in campionato

Immobile, Pellegrini, Politano, Tonali: l’ordine è strettamente alfabetico. Pur se non impiegabile, Ciro è rimasto con Mancini fino a domenica, in precedenza gli altri avevano lasciato in tempi diversi il ritiro della Nazionale per acciacchi e timori vari. Cinque giorni dopo li abbiamo ritrovati - tutti e quattro - titolari in campionato. L’azzurro s’è stinto, non è più una priorità, se di mezzo non c’è un Mondiale o un Europeo: la Nations si può anche evitare, in particolare in una stagione da esaurimento fisico e nervoso.

Il comportamento dei giocatori non è stato irreprensibile (il presidente che paga, chiama e reclama...): la maglia dovrebbe essere sempre rispettata. Le colpe maggiori le ha chi antepone i propri interessi economici ed elettorali a tutto il resto, in primis all’incolumità degli atleti. Le nazionali hanno dei diritti che da tempo la stessa Uefa tradisce con tornei accessori. Quando non sono in programma gare di qualificazione, invece di impegnare i giocatori in tornei di scarso valore straccia muscoli e legamenti, le istituzioni dovrebbero inserire in calendario degli stage brevi, ma obbligatori. A profitto zero.

  


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