Penalizzazione Juve, l’altra faccia di una sentenza

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Alessandro Barbano
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La sentenza che condanna la Juve e assolve le società con lei complici delle plusvalenze rischia di rivelarsi il cortocircuito fatale della giustizia sportiva, con l’effetto paradosso di somministrare ingiustizia e infliggere all’intero sistema del calcio italiano un danno di credibilità e di immagine. Ci sono almeno tre motivi che il Collegio di Garanzia del CONI dovrà valutare con attenzione, pronunciandosi sulla sentenza d’Appello che ha comminato la penalizzazione di 15 punti al club bianconero.

"Falsificazione dei documenti contabili e amministrativi"

Il primo riguarda il danno prodotto dalla “falsificazione dei documenti contabili e amministrativi”, vietata dall’articolo 31 del codice di giustizia sportiva. Nessun illecito e nessuna sanzione possono concepirsi senza un danno che la lesione della norma produce al sistema. Se vale per il diritto penale, deve valere anche per la legge “penale” del calcio. Come ha ben scritto ieri su queste colonne Alessandro Giudice, questo danno viene dedotto da un principio contabile di diritto commerciale, che impone alla Juventus, in quanto società quotata in borsa, obblighi di trasparenza diversi e maggiori rispetto agli altri club. Tutti i club, tranne Juve, Lazio e Roma (oggi la società giallorossa è fuori dalla Borsa) possono attribuire ai cartellini scambiati il valore derivante dalla propria autonomia contrattuale, non potendosi stabilire un valore oggettivo. Così poteva accadere ed è accaduto che, scambiando un calciatore senza passaggio di denaro, due club coinvolti attribuissero allo scambio un valore incontestabile, ancorché arbitrario secondo ragionevolezza ed esperienza. La Juve no. La Juve avrebbe dovuto attribuire al cartellino scambiato il valore di iscrizione in bilancio, cioè il valore netto contabile, azzerando la plusvalenza. Questo diverso regime giuridico si spiega con gli oneri e i vantaggi che le società quotate in Borsa hanno rispetto alle altre. Ma la violazione del precetto non è trasferibile in maniera speculare nella realtà sportiva.

Dovere di lealtà

Qui il divieto di falsificazione protegge un dovere di lealtà, la cui violazione si presume alteri il risultato della competizione. Il dovere di lealtà non è violato dalla Juve in maniera maggiore rispetto ai club complici, con cui ha certificato plusvalenze inesistenti, al netto dei diversi obblighi contabili della prima rispetto ai secondi. La condanna della Juve e l’assoluzione di questi sono perciò l’effetto paradosso di somministrare ingiustizia, amministrando giustizia. Dando un segnale pericoloso: paga uno per tutti. E un segnale improduttivo: fuga dalla Borsa. Il secondo motivo attiene alla prova. L’alterazione del bilancio non dimostra di per sé il reato penale di falso, in assenza di altri presupposti oggettivi e soggettivi, da accertare nel giudicato oltre ogni ragionevole dubbio, per esempio l’ingiusto profitto ottenuto.

Autonomia del giudizio e intercettazioni

Poi si deve accertare l’elemento soggettivo, cioè la volontarietà specifica di ottenere il vantaggio, ingannando i rivali. Ma l’alterazione della concorrenza economica non è di per sé alterazione della concorrenza sportiva. Che resta certamente in equilibrio almeno con quei club con cui la Juve ha concorso nel reato. Di fronte a questa complessità, perché il verdetto del calcio non attende gli esiti del processo penale? Se Agnelli e compagni fossero assolti, come la metteremmo domani? La risposta a questa domanda riguarda il terzo motivo. Si invoca l’autonomia del giudizio sportivo rispetto a quello ordinario. Ma non si può essere autonomi nella valutazione e subalterni nell’investigazione e nell’acquisizione delle fonti di prova. E qui entrano in gioco le intercettazioni, croce e delizia del nostro dibattito pubblico. Le quali non sono di per sé fonti di prova, ma vanno valutate in dibattimento.

Diritto di difesa

È paradossale che nel giudizio sportivo giustifichino una condanna prima che nel giudizio ordinario vengano certificate la loro attendibilità e pertinenza. Il procuratore federale le assume come prove di slealtà, quando invece sono state acquisite nel processo penale come prove di un reato contabile, senza che gli intercettati siano stati interrogati da lui per potersi difendere. Si dice: è accaduto anche con Calciopoli. Ma lì l’accertamento dei fatti costituenti reato riguardava accordi illeciti, ricatti e minacce in grado di condizionare il risultato sportivo. Qui no. Il rapporto tra processo penale e giudizio sportivo è simile a quello che esiste tra processo penale e procedimento di prevenzione. Il primo commina condanne sulla base della colpevolezza accertata oltre ogni ragionevole dubbio, il secondo dispone confische di beni e aziende sulla base di una pericolosità che poggia su indizi. Le sanzioni della giustizia sportiva rischiano di assomigliare alle cosiddette misure di prevenzione previste dal codice antimafia. Con una differenza: che con un dose di ipocrisia le confische e i sequestri non vengono considerati provvedimenti penali, mentre una penalizzazione di quindici punti è certamente una punizione che incide come un provvedimento penale sportivo. Meriterebbe perciò tutte le garanzie del diritto di difesa.

Logica autoritativa

E invece viene assunta con la logica autoritativa di un processo inquisitorio. Il ragionamento fin qui fatto non vuol essere un colpo di spugna. Poiché l’indagine certamente dimostra quanto alto e diffuso sia l’inquinamento che l’uso disinvolto delle plusvalenze ha portato alla più grande economia sportiva del Paese, mettendo sotto accusa una classe dirigente e una cultura manageriale inadeguata, a cui si aggiunge, nel caso dei dirigenti bianconeri coinvolti, una iattanza discutibile. Mi chiedo tuttavia se non sia il caso di lasciare prima alla magistratura penale il compito di accertare e perseguire le violazioni, e al sistema sportivo quello di risanare le regole e la cultura del calcio, proteggendo il campionato. La cui contendibilità non è stata intaccata dalle plusvalenze più di quanto lo sarebbe da una penalizzazione così pesante a una delle candidate alla lotta per lo scudetto. Con danno per tutti, e in primis per chi punta a vincere sul campo.


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