Juve, guai ai vinti ma non è un bel segnale

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Alessandro Barbano
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Perché dieci punti e non nove, o dodici, o quindici? Sarà interessante leggere le motivazioni della Corte d’Appello per capire con quali artifici lessicali ed equilibrismi giuridici giustificherà la penalizzazione che da ieri sera tiene la Juve fuori dalla Champions e regala alla Lazio, con due giornate di anticipo, la certezza di una qualificazione ampiamente meritata. La sentenza sartoriale confezionata contro il club bianconero è lo specchio di una giustizia sportiva che somiglia a un anacronistico sinedrio sacerdotale, chiamato a sentenziare secondo morale, in assenza di qualunque determinazione edittale della pena proporzionata all’illecito e prevedibile. Cosicché i dieci punti inflitti possono spiegarsi solo come la media ponderata del disdoro soggettivamente valutato dai sacerdoti rispetto alle macchie della gestione Agnelli
Se aggiungi a questa vaghezza il tragico tempismo della sentenza, hai la misura di un sistema sanzionatorio del tutto inadeguato a regolare i conflitti di una delle economie più importanti del Paese. Perché non si può fingere di ignorare che le punizioni del campo abbiano un riflesso decisivo sulla propensione a investire e sulla stessa immagine del calcio. Penalizzare la Juventus, anche severamente, nella prossima stagione sarebbe stato il modo più logico e meno cruento di amministrare la giustizia sportiva. Sottoporla a uno stillicidio di incriminazioni e verdetti, che interpolano come prove supplementari gli impegni del campo, è una sorta di tortura che, insieme con il condannato, martirizza la residua credibilità del sistema.  
La variabile giudiziaria ha, nella volata finale, un effetto inquinante sul valore sportivo della competizione, che resta ancora il patrimonio più significativo del campionato. Neanche se quanto accade fosse una nemesi, dopo decenni di arrogante egemonia bianconera culminata nell’onta della SuperLega, potrebbe giustificarsi un’odissea giudiziaria che somiglia sempre più a una vendetta infernale. Con l’effetto di condannare i bianconeri a una rimonta continua contro penalizzazioni che in ogni momento possono vanificarne lo sforzo. Non dimentichiamo che da qui al trenta giugno pendono sul capo dei superstiti fedeli di Allegri il giudizio sugli stipendi fittiziamente tagliati e quello parallelo aperto dall’Uefa. 
Le immagini dell’agonia di Empoli sono la diagnosi di un crollo psicologico cui non è estranea l’odissea giudiziaria. E anche se si tratta di un retro pensiero sospettoso, il calvario della Juve mostra per contrasto la cecità di una giustizia che cede alla tentazione di stravincere. Non è un bel segnale. 


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