Juve, il duro attacco di Kean al razzismo in Italia: ecco cosa ha detto

L'attaccante bianconero ha ricordato l'episodio di Cagliari: "Non pensavo potesse avvenire anche in uno stadio"
Juve, il duro attacco di Kean al razzismo in Italia: ecco cosa ha detto© Juventus FC via Getty Images
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Moise Kean ha rilasciato una lunga intervista al portale francese views.fr, dove ha messo in risalto la passione per il calcio, toccando anche il tasto dolente degli episodi di razzismo in Italia: "Il calcio è sempre stato il mio sogno. Poi quando inizi a dare forma a un metodo di lavoro, devi avere un sogno e credere in quello che stai facendo. Da quando avevo 9, 10 anni, sono sempre stato il più piccolo a giocare per strada. Le persone intorno a me credevano più di me che potessi diventare molto bravo. Questo mi ha aiutato anche a credere in me stesso. A 16 anni sono diventato il giocatore professionista più giovane nella storia della Juventus". 

L'anedotto di Kean con Mandzukic 

Kean ha poi raccontato un aneddoto che riguarda Mandzukic: "Ho avuto la possibilità di giocare con alcuni dei migliori giocatori del mondo. Ne sono grato, perché mi ha insegnato molto. C'è una storia che non dimenticherò mai. Avevo 15 anni, entrai per la prima volta negli spogliatoi della squadra professionistica della Juventus, e lì Mario Mandzukic mi disse: “Cosa ci fai qui?”. Dico: "Mi hanno mandato qui". Poi continua: "Non pensare di restare qui, rimani forse una settimana e poi te ne vai". Lì, mi dico: “Wow, voleva mostrarmi quanto fosse difficile. In quel momento ho imparato molte cose, anche se mi chiedevo se fosse solo cattivo o se fosse per aiutarmi.

Kean e il razzismo 

"Sono nato in Italia, e da quando andavo a scuola, so quanto sia difficile per un uomo di colore vivere in questo paese. So come ci si sente ad essere una vittima del razzismo. Mi sono successe molte cose e spero che cambieranno. Quando è successo di recente a Romelu Lukaku, non sono rimasto sorpreso. Mi sono detto: “Benvenuti in Italia n****!” Mi auguro davvero che un giorno le persone capiscano che è qualcosa che non ha bisogno di esistere. Tutti sono umani, hanno un'anima e un cuore. Quando è successo a me, non me l'aspettavo. Sapevo benissimo che c'è molto razzismo, ma non pensavo che sarebbe arrivato al calcio. Ed ero ancora molto giovane. Non avevo idea che potesse accadere in uno stadio. Posso forse capire che succede fuori, con persone che non conosci, ma in uno stadio dove porti la tua famiglia, i tuoi figli, è un peccato. Ho reagito così perché è l'unico modo. E non ho reagito male. Il mio primo obiettivo era segnare e poi festeggiare così, perché capissero che non c'è posto per il razzismo, né nel calcio né nel mondo. Nessuno può capire cosa provi. La mia celebrazione ha dimostrato tutto questo. Segno, festeggio a mani aperte e loro continuano a tirarti addosso roba. È solo un segno che non è giusto, che non dovrebbe succedere nel calcio. In teoria il calcio è qualcosa che si fa con amore, ma alcune persone non riescono a capirlo.

Il ricordo del Paris Saint Germain

"Parigi è come una casa per me. Anche quando ero più giovane, venivo qui perché lì ho una famiglia. Mi sento sempre a casa qui. Quando ero al PSG, giocare qui mi ha dato ancora più motivazione. Mi sono divertito così tanto a Parigi. Questo è probabilmente ciò che mi ha aiutato a fare cose buone qui. I miei compagni di squadra, lo staff, posso sacrificarmi per loro. È qualcosa che non dimenticherò mai. È il momento più bello della mia carriera, mi sono davvero divertito qui. Non potevo dimenticare tutto quello che ho imparato lì e tutti i bei momenti che ho vissuto lì".


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