Exor ha seccamente smentito le indiscrezioni sulla possibile cessione della Juventus. I presupposti per interrogarsi sul senso del possesso di questo club rimangono. Del resto, non è la prima volta che le illazioni affiorano, soprattutto alla luce dei pesanti risultati economici accumulati negli ultimi anni.
Juve, come è controllata
Sebbene sia ancora percepita da molti come il giocattolo di famiglia, la Juve non appartiene a John Elkann né alla vasta e ramificata famiglia Agnelli. Exor ne controlla 63,8% (anche se governa il 77% dei voti in assemblea, grazie alle azioni a voto plurimo) il resto è diffuso tra fondi e piccoli azionisti. Neppure Exor appartiene agli Agnelli: è una società quotata ad Amsterdam, di cui la holding Giovanni Agnelli BV possiede il 53%. Ha importanti investitori istituzionali tra gli azionisti di minoranza e un flottante scambiato sul mercato. Nel portafoglio Exor, la Juve rappresenta una quota minuscola di un pool di partecipazioni in cui spiccano Ferrari, Stellantis, CNH Industrial. Tuttavia, una holding quotata deve giustificare ogni investimento, ogni immobilizzo di capitale, con la logica di creare valore per tutti gli azionisti. Il centenario, la tradizione familiare, la storia calcistica sono tutte cose bellissime che in finanza valgono zero.
Juve, il rendimento
In 13 anni, Exor ha moltiplicato per 8 il valore dei suoi asset consegnando agli azionisti un rendimento del 17% annuo e battendo molti indici azionari globali. Lo ha fatto selezionando le partecipazioni in maniera strategica, non segue passioni personali né deve tramandare tradizioni familiari perché, in tal caso, i soci di Exor potrebbero legittimamente invitare l’azionista di controllo a godersi le sue passioni coi propri soldi, senza coinvolgerli. Ciò implica che il piano industriale di ogni controllata debba contenere prospettive di ritorno sul capitale, altrimenti l’investimento non ha senso. Nel giorno in cui tali linee guida non fossero evidenti, Exor dovrebbe vendere la Juventus.
Juve, gli obiettivi di Exor
Nella prima fase della gestione di Andrea, il percorso Juve era in linea con le aspettative di Exor: valorizzazione del brand e ascesa del fatturato, riflesse nella crescita del valore di mercato, da 75 milioni nel 2010 a un miliardo nel 2017. Con CR7 si pensa di fare lo scatto decisivo per entrare tra i top. Il valore raggiunge un picco di 1,7 miliardi nel 2019, sempre in linea con le aspettative di Exor, di crescita a due cifre del valore. Il traguardo a cui puntare era la Superlega, la consacrazione definitiva tra i padroni del calcio ma, soprattutto, una torta immensa da dividere in pochi. Una storia interrotta bruscamente.
Juve, la capitalizzazione
Oggi la Juve vale in borsa 800 milioni e il suo progetto non è molto chiaro. Il risanamento dei conti è un passaggio obbligato, perché una società non può chiedere sempre soldi agli azionisti, ma dopo? Nell’industria del calcio è difficile che una società distribuisca dividendi. Lo ha fatto lo United ma la gestione Glazer è invisa ai tifosi e i risultati sportivi ne hanno risentito. L’unica ragione per gestire un club è la prospettiva di crescita del valore nel tempo che un investitore quotato deve tuttavia monetizzare, in un preciso momento. Altrimenti l’investimento diventa sterile, non contribuisce a generare valore e annacqua le performance della società proprietaria scontentandone gli azionisti. Perciò i fondi di private equity disegnano sempre una exit strategy prima di acquistare un’azienda e per quanto se ne possa pensare, Exor non è molto diversa da un fondo e ragiona con la stessa logica. Non certo con affetti familiari estranei alla sua mission.