La Juve più giovane degli ultimi trent’anni, quarta rosa della Serie A per valore dei cartellini e distante 23 punti dalla squadra campione d’Italia, è costata più delle corazzate che nel 2015 e nel 2017 sfiorarono il Triplete. Per l’esattezza: 125,8 milioni lordi di stipendi in questa stagione, contro i 118 della formazione che giocò alla pari con il Barcellona a Berlino e i 120 di quella che due anni dopo vide evaporare il grande sogno a Cardiff al cospetto del Real Madrid. Questa considerazione economica non è soltanto un banale calcolo da commercialisti, ma orienta da mesi anche i ragionamenti di visione politica alla Continassa.
Juve, contrazione monte ingaggi
Rispetto a quattro anni fa (ultimo scudetto), c’è già stata una clamorosa contrazione del monte ingaggi: nel 2020 la Juve toccò il record di 259,6 milioni di emolumenti, poi le vacche grasse sono dimagrite a causa della pandemia e i rubinetti sono stati chiusi. Così è cominciata la stagione della spending review, coi suoi effetti più evidenti nelle ultime due sessioni di mercato a spesa zero. Il taglio degli stipendi proseguirà e nelle intenzioni della proprietà dovrà arrivare in questi mesi a quota 100, cioè 100 milioni lordi: è l’unica possibilità che ha il direttore tecnico Giuntoli per incrementare il tesoretto da 50 milioni messo a disposizione dal club per gli acquisti. Dopo aver salutato Alex Sandro, in rosa restano altri 7 calciatori che percepiscono più di 4 milioni netti a stagione, la stessa cifra che Koopmeiners guadagnerebbe ogni anno per 5 stagioni in bianconero qualora si trovasse la quadra con l’Atalanta, che per il suo gioiello chiede 60 milioni: sono Pogba (ingaggio ora ai minimi sindacali per il caso doping), Rabiot, Vlahovic, Szczesny, Chiesa, Bremer e Danilo. Tra questi, tre sono considerati da Motta dei pilastri per ricostruire la Juve: il centravanti serbo, il centrocampista francese e il difensore brasiliano.