Udine è sempre stata una terra di confine. E la Juve, in Friuli, va in qualche modo alla ricerca del proprio limite: quello che separa la depressione dall’ottimismo, gli incubi dai piacevoli risvegli, il sentore di un’involuzione dal principio di una rinascita. I sette gol subiti nelle ultime tre partite, ma soprattutto le 53 conclusioni degli avversari che hanno trasformato certe gare in dei tiri al bersaglio verso Perin e Di Gregorio, inchiodano la Signora alle sue recenti responsabilità. Viene da chiederselo, dunque: la solidità mostrata nelle prime uscite stagionali (670’ con un solo gol preso, allo scadere di Juve-Psv) è ormai un retaggio del passato o una strada ancora percorribile? E ancora: questa Juve è da scudetto, da Champions o non è all’altezza delle grandi? La sfida di oggi pomeriggio darà forse qualche risposta.
Il nervosismo di Motta e il bivio di Udine
Serve tempo, si dice sempre, quando comincia un progetto. Solo che di tempo la Juve non ne ha molto: le vittorie di Atalanta, Fiorentina e Lazio l’hanno fatta scivolare al sesto posto, cioè fuori dalla zona Champions, mentre il treno scudetto guidato da Napoli e Inter corre veloce e rischia di lasciare Thiago a piedi nonostante i 166 milioni spesi sul mercato in estate. Se dovesse vincere le prossime nove gare di campionato chiuderebbe il girone d’andata con meno punti della Juventus 2023-24 guidata da Allegri. Poi, si sa, le stagioni sono lunghe dieci mesi (quella di Max rallentò nel girone di ritorno) e «nessuno ha mai vinto un campionato dopo dieci partite», come ha sottolineato giustamente Motta ieri in conferenza. «Dobbiamo fare meglio», ha poi ripetuto non una ma addirittura tredici volte, facendo emergere un pizzico di nervosismo ben nascosto dietro il solito stile comunicativo da hombre vertical. Troppi gol presi? «Dobbiamo fare meglio a livello collettivo». Vlahovic lasciato solo? «Dobbiamo fare meglio in fase offensiva e difensiva». Siamo sesti? «Dobbiamo fare molto meglio per stare in alto in classifica». E così via. Un mantra, un claim, quasi un’ossessione: non è contento di come stanno andando le cose e per la prima volta lo ha ammesso.
Juve imbattuta ma lontana dalla vetta
Udine è certamente un bivio, il primo della stagione. Forse ancora più importante di quello che ha preceduto Inter-Juve di domenica scorsa. I bianconeri arrivarono al derby d’Italia dopo aver assaggiato per la prima volta il sapore amaro della sconfitta, in Champions contro lo Stoccarda. Stavolta, approcciano alla partita con la consapevolezza che un altro pareggio - sarebbe il settimo su 11 gare, a parte il Getafe nessun altro club nei primi cinque tornei ha fatto pari e patta così tante volte - somiglierebbe più a una sconfitta che a un mezzo passo in avanti. Di pareggite si può sempre guarire, eppure i punti persi iniziano a pesare. Curiosamente, la Juve è l’unica squadra d’Europa a non aver mai perso in campionato insieme a City, Bayern, Lipsia e Psg; a differenza loro, però, è distante dalla vetta (7 punti). Martedì Vlahovic e compagni saranno inoltre impegnati a Lilla: anche qui, evitare di complicare il cammino in Champions è una necessità, dato che gli impegni successivi saranno con l’Aston Villa capolista (9 punti su 9) e con i marziani di Guardiola. In questa fase persino il calendario ci mette lo zampino: dopo la visita in terra francese c’è il derby con il Torino, poi il Milan, l’Aston Villa, la trasferta di Lecce, la ex di Thiago (il Bologna) e il confronto ad alta quota con il City di Pep. La sosta che scatta al termine della stracittadina di sabato prossimo può essere salvifica o infernale: dipenderà dalla settimana di passione che comincia proprio oggi.