Il cielo di Torino ieri rappresentava l’umore dei tifosi bianconeri: talmente grigio e cupo da apparire quasi polemico. Il fatalismo di chi soffre per la propria squadra, si sa, certe volte ci azzecca, anche se in questo calcio dilaniato dagli infortuni certe previsioni sono piuttosto facili da fare. Il serbo fin qui le ha giocate tutte, senza mai risparmiarsi, al massimo sedendosi in panchina per 15 o 20 minuti negli spezzoni finali: quanto sarebbe potuto andare avanti a questi ritmi e senza un sostituto? A San Siro Motta dovrà quindi reinventare il proprio attacco, anche se gli esami sul bicipite femorale sinistro di Dusan hanno escluso lesioni. Con Nico Gonzalez ancora fermo ai box e Conceiçao più adatto a giocare sull’esterno per caratteristiche fisiche e tecniche, il ruolo di prima punta nelle prossime due gare (Milan e Aston Villa) potrebbero dividerselo Weah e Yildiz, entrambi già 4 volte a segno, con Koopmeiners (ancora a secco in maglia Juve) pronto a dare una mano coi suoi inserimenti.
Un dieci che fa il nove
Il turco, ieri sera titolare e a segno con la Turchia di Montella contro il Montenegro, è già il più giovane dopo Yamal, tra i giocatori dei campionati top 5, ad aver fatto quattro volte gol. Se dovesse esultare anche sabato, nello stadio dove neppure un mese fa ha realizzato una doppietta da sogno nel derby d’Italia, continuerebbe l’inseguimento a distanza al suo idolo Del Piero, che raggiunse 5 reti in A con la Juve quando aveva 113 giorni in più di lui. Come capitò qualche volta anche ad Alex, Yildiz potrebbe reinventarsi centravanti. Diversi grandi numeri dieci del passato, del resto, sono passati dalla necessità di spostarsi al centro dell’attacco per sopperire a qualche tipo di emergenza o per valorizzare al meglio l’istinto da goleador, e nessuno di loro poteva contare sul fisico da corazziere (187 cm) che possiede Yildiz. Hanno fatto scuola, ad esempio, le “esperienze” da centravanti di Francesco Totti e Roberto Baggio, per citare due fenomenali fantasisti che vestirono i panni del bomber. Dopotutto, è sempre il talento a orientare il destino di un campione. Molto più della posizione in campo.