Juve, Thiago Motta: l'ossessione e l'esigenza

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Juve, Thiago Motta: l'ossessione e l'esigenza© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
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Quanti uomini conoscono la differenza tra un’ossessione che si subisce e un destino che si sceglie?, domandò lo scrittore svizzero Denis de Rougemont. Thiago Motta - il primo che mi viene in mente - l’ha appena conosciuta tant’è che ha deciso di cambiare linea di comunicazione, passando dall’ossessione della vittoria, negata pochi giorni prima, all’esigenza: non è proprio la stessa cosa, ma come risposta è più juventina della precedente poiché non tradisce la vocazione del top club.

E dire che Thiago i top ha cominciato a frequentarli molto presto: a diciott’anni respirava già l’aria di Barcellona e in seguito s’è fatto Atlético Madrid, Inter e Paris St. Germain.

La verità è che alla Juve puoi dichiarare di non avere l’ossessione della vittoria soltanto quando vinci e sei in testa alla classifica: da quelle parti la programmazione a medio termine e sofferente non è storicamente contemplata. Non è davvero un periodo facile per Motta che oggi affronta uno dei derby più complicati degli ultimi anni: ha tante assenze (Vlahovic, Conceiçao, Locatelli, Bremer, Cabal) e proprio nel momento in cui ha la necessità di vincere e aggiustare parzialmente le cose. Un pareggio o una sconfitta, che col Toro manca da un po’, non farebbe altro che allungare la striscia dell’insoddisfazione popolare e societaria.

Motta, che è apparso più sorridente e battutista del solito (empatia empatia per piccina che tu sia...), ha ricordato di aver perso due sole volte nelle prime 26 uscite, trascurando però il numero dei pari: 13, la metà. Pari che per la Juve esigente equivalgono a sconfitte, se ripetuti ossessivamente.


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