Eriksson: "Avevo una Lazio con mentalità vincente. I tifosi? Un caos per Signori..."

L'ex tecnico dello scudetto biancoceleste del 2000 ha ricordato quegli anni fatti di trofei e grandi giocatori: "Cragnotti esaudiva ogni mio desiderio"
52. Sven-Goran Eriksson (Roma, Fiorentina, Sampdoria, Lazio)© ANSA
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ROMA - Un ricordo indelebile lo scudetto con la Lazio per Sven Goran Eriksson. L’ex tecnico biancoceleste, che nel 2000 ha portato il club capitolino alla conquista del tricolore e di altri trofei, si è raccontato ai microfoni del Guardian: “Ero al Blackburn Rovers, ma pochi giorni dopo la Lazio si avvicinò a me. Avevano una grandissima squadra, ma non avevano vinto trofei per oltre vent’anni nonostante sapessi che Sergio Cragnotti fosse un ottimo presidente. Conoscevo le loro ambizioni così chiesi al club inglese: ‘Per favore lasciatemi andare alla Lazio’. Dopo una serie di incontri, mi dissero: ‘Ok, lo capiamo’".

L’inizio di una fantastica avventura

Inizia così, nel 1997, la storia tra Eriksson e la Lazio: “Fu un periodo bellissimo e fortunato. Il presidente fece praticamente ogni cosa gli chiesi. Fummo eccellenti, vincendo sette trofei. Cambiai anche alcuni giocatori che erano stati lì per molto tempo e che credevo non avessero la giusta mentalità. Giuseppe Signori era uno di questi. Era un giocatore fantastico: capitano, miglior marcatore e giocatore della Nazionale. Il problema è che era stato a Roma tanti anni senza successi e questo non era positivo, non pensava potessimo vincere qualche trofeo e allora volevo lasciarlo andar via. Così andai dal presidente e gli dissi: ‘Dobbiamo vendere Signori’. Ricordo ancora il modo in cui reagì, pensavo gli venisse un attacco di cuore”. Poi la cessione di Beppe-gol e la furia dei tifosi: “Diventarono pazzi. Mi odiavano, credevo mi volessero uccidere. Lo cedemmo e perdemmo subito in casa contro l’Udinese. Non potei entrare al campo d’allenamento per la seduta perché era bloccato dai tifosi, la polizia c’era ma non poteva gestire la situazione. I tifosi avevano scavalcato le mura e invaso il campo, così non ci potemmo allenare. Poco dopo vincemmo la Coppia Italia e nessuno ricordava quel fatto”.

Lo scudetto

Una cavalcata incredibile quella della Lazio del 2000. Eriksson racconta quei momenti: “Comprammo giocatori fantastici come Juan Sebastian Verón, Sinisa Mihajlovic, Roberto Mancini. Diventò una squadra vincente come avrebbe dovuto essere. Nel 1999-2000 iniziammo con una buona continuità, ero convinto potessimo vincere lo scudetto. Lo avremmo già dovuto vincere l’anno precedente, invece non ci riuscimmo proprio alla fine. Eravamo tanti punti dietro la Juventus, ma dissi ai giocatori: ‘Possiamo vincerlo’”. Il ricordo di quella giornata: “Tutto si decise all’ultimi: la nostra partita, contro la Reggina, era finita 3-0 e ci saremmo laureati campioni se la Juventus non avesse vinto a Perugia. Era l’intervallo perché pioveva così forte che la gara era stata posticipata. Dirigeva Pierluigi Collina, il celebre arbitro. La Juventus, visto che stava perdendo 1-0, chiese di rigiocare la partita un altro giorno. Ma Collina fu forte sulla sua decisione, qualsiasi altro arbitro avrebbe detto alla Juventus: ‘Va bene, rigiochiamola un’altra volta’. Collina invece sentenziò: ‘Aspettiamo’. Noi ascoltavamo la partita dallo spogliatoio, non segnarono e diventammo campioni. Fu un modo strano di vincerlo, però un giorno davvero bello per ogni tifoso della Lazio. Quella squadra aveva tanti giocatori fenomenali: Mihajlovic, Nedved, Mancini, Veron, Salas".

Il retroscena sulla Coppa Italia

Eriksson ha concluso con un ultimo dolce ricordo: “La miglior dimostrazione di quanto fossero forti mentalmente arrivò il giovedì successivo alla vittoria dello scudetto in occasione della finale di ritorno di Coppa Italia. Affrontavamo l’Inter e non ci eravamo allenati né il lunedì né il martedì perché tutti i giocatori e la città stavano festeggiando il trionfo. Mi ricordo che parlando con Marcello Lippi, l’allenatore nerazzurro, mi disse: ‘Ora che hai vinto tutto, fai vincere noi’. Il giorno prima negli spogliatoi avevo detto ai giocatori: ‘Se siete dei professionisti, andate in campo e lottate’. Lo fecero e trionfammo, questa era una vera mentalità vincente. Volevano anche quel trofeo. Presi la Lazio quando non aveva alcun tipo di mentalità vincente e quello che successe in quegli anni fu bellissimo. Apprezzai quella vittoria ancor più dello scudetto non per quello che fecero, ma per il modo in cui lo fecero”.


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