La Lazio e il focolaio Covid: i retroscena e i rischi

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La Lazio e il focolaio Covid: i retroscena e i rischi© Getty Images
Fabrizio Patania
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ROMA - Andreas Pereira è salito ieri mattina su un aereo di linea, ha viaggiato verso Bruxelles e ha proseguito per Bruges, raggiungendo l’albergo della Lazio a metà pomeriggio, tre o quattro ore prima della partita di Champions. La società biancoceleste, chiedendo e ottenendo un secondo tampone di controllo al laboratorio utilizzato dall’Uefa, è riuscita a dimostrare la “negatività” del centrocampista ex Manchester United. Sabato era stato inserito a sorpresa nell’elenco dei convocati per il Bologna e Inzaghi lo aveva fatto debuttare in Serie A: si era appena riunito al gruppo dopo aver superato una sindrome influenzale e circa una settimana di stop. Stessa procedura seguita alla prima giornata per Wesley Hoedt, che in attesa di verifica lunedì scorso aveva saltato l’allenamento di rifinitura pre-Borussia Dortmund e poi era stato aggregato in tempo utile per andare in panchina e subentrare durante la ripresa.

L’olandese, all’epoca del suo arrivo a Roma, era stato tenuto lontano da Formello per circa due settimane dallo staff medico che aveva riscontrato valori alterati o possibili infezioni in corso all’epoca delle visite. I tamponi molecolari, che cercano tre tipi differenti di gene (E, N e RdRp), oltre al Covid possono rivelare “cicatrici” a segnalare un’infezione già superata (è il caso dei falsi positivi) oppure la possibilità di infettarsi perché è in corso l’incubazione (5-6 giorni) e l’evidenza degli esami ancora non chiarisce se il giocatore si “positivizzerà” o si “negativizzerà” nel giro di poche ore. Succede nei casi degli asintomatici, tra cui moltissimi calciatori, sottoposti (in Serie A) ogni quattro giorni ai controlli.

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