Sarri, un anno di Lazio: la passione biancoceleste di Mau

Domani ricorrerà la data dell’annuncio dell’accordo con il club: dalle frasi identitarie alle foto simboliche, ecco i momenti che hanno reso speciale il legame con i tifosi
Sarri, un anno di Lazio: la passione biancoceleste di Mau© Getty Images
Daniele Rindone
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ROMA - Al vertice di due mondi, il sarrismo e la lazialità, si staglia la figura di Maurizio Sarri: «Rappresento un popolo e devo rispetto». Nell’eco di queste parole, pronunciate con trasporto da Mau prima di trasportare la Lazio al quinto posto, c’è l’istantanea di un’affinità diventata affetto: «Lo devo ai laziali». Sarri sa che guidare la Lazio significa guidare un popolo che ansima da anni fra entusiasmanti speranze e feroci delusioni, un popolo che non smette di vivere battaglie quotidiane. Sarri sa che nel suo nome, oggi, c’è un nuovo destino, un nuovo senso del suo allenare, del suo dovere, del suo combattere. L’entusiasmo prorompente che un anno fa di questi tempi accompagnava l’arrivo di Mau alla Lazio, ufficializzato il 9 giugno 2021 (l’anno ricorrerà domani), si è trasformato in una fusione tra allenatore e popolo. Una manna, dopo l’era Inzaghi, la più identitaria. Ben più delle parole, pronunciate da giugno 2021 a giugno 2022, hanno colpito i gesti.

I libri

Sarri si era presentato a Formello evocando Maestrelli: «La storia della Lazio? Si può parlare di mille situazioni rimaste nella mia mente. Quella più cara è Maestrelli, personaggio straordinario, ho conosciuto i familiari, mi è rimasto caro». Mau si è sentito pronto a proclamarsi alla guida del popolo, a raccogliere il titolo dinastico della sovranità laziale, perché si è immerso nella storia, nella spiritualità dei suoi eroi, in quel grido di bisogno identitario dei tifosi. Ad Auronzo, durante il primo ritiro, gli erano stati regalati due libri, uno su Maestrelli, uno sull’epopea della società, offerti in dono simbolico da un rappresentante del popolo. E’ stato come giurare su due Bibbie. I segni dinastici di quelle letture si sono rivelati in tanti discorsi fatti in conferenza stampa, in tante interviste, in tante dimostrazioni “fisiche”: nel primo volo sotto la Nord spiccato da Mau a derby vinto (all’andata), nella foto scattata modello falconiere con Olympia sul braccio, mentre la innalza al cielo. E, in ultimo, nella notte di Lazio-Verona, sempre sotto la Nord, con la mano destra sul cuore, in quell’abbraccio di ricambio. Due poster da riprodurre, due super selfie.  
L’identificazione. La lazializzazione di Sarri si è accelerata vivendo Formello durante i ritiri: «Olympia? Ricordate che dorme dietro la mia stanza a Formello, la sento cantare». Si è ispessita dopo il derby perso: «Andavo a Formello e provavo vergogna». Ha raggiunto l’estasi all’Olimpico, nell’ultima notte di campionato: «Lo stadio di questa sera è tanta roba ed è qualcosa che deve diventare un obiettivo della squadra affinchè ci sia questa situazione in ogni gara. Avere uno stadio pieno e così caloroso qualcosa ti dà, però dipende in larga parte da noi». Si è familiarizzata festeggiando la vittoria più bella, l’Olimpico pieno: «È bellissimo veder festeggiare i tifosi per questo quinto posto, io amo questo tipo di situazioni. Mi piace stare in un ambiente familiare e con un pubblico come il nostro. Mi piace stare qui».

La squadra

C’è fusione, da parziale a totale, anche con la squadra dopo un inizio traumatico. Nel primo discorso di Sarri alla Lazio, radunata a cerchio ad Auronzo, fece sapere di non essere mai stato un sentimentalista, un abbracciatore tenerone, neppure in famiglia: «Da me non aspettatevi baci e abbracci». Nell’ultimo discorso, fatto nello spogliatoio dell’Olimpico dopo il Verona, si è sciolto: «Ho detto ai ragazzi che sono il gruppo che mi ha fatto più incazzare, ma che mi ha fatto anche innamorare di più di questo lavoro». Una “cotta” che l’ha convinto a firmare fino al 2025, a restare per provare a completare la rivoluzione, a tenersi stretta la Lazio. Stretta nel cuore.


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