L’evoluzione di Sarri, trasformista e sempre più laziale

Mau si è adattato. Contava solo il risultato: "Ho detto alla Lazio oggi si gioca per il nostro popolo". La chiave mentale con i nuovi: "Capiamolo prima, dopo è tardi"
L’evoluzione di Sarri, trasformista e sempre più laziale© LAPRESSE
Fabrizio Patania
6 min

Laziale nell’animo, trasformista tattico. Sarri, rubando l’idea a Mourinho, ha consegnato la palla e si è preso il derby: 37 metri il baricentro della Lazio nel secondo tempo, 41 la media sui 100 minuti, compreso recupero. Quasi mai così basso. Un anno fa predicava la supremazia territoriale. Ora la ragion di stato. Pragmatismo da applaudire. «L’ho detto ai ragazzi. Si gioca per il popolo laziale, pretende una prestazione di anima, cuore, personalità, generosità. Finirà come finirà, se daremo questo i tifosi saranno contenti» ha raccontato nella notte dell’Olimpico. Un derby prosciuga ogni energia. Neppure ha partecipato alla festa. Si è infilato nello spogliatoio. Era stravolto e ha lasciato la ribalta ai giocatori. Oggi tornerà a martellarli, spingendo sul tema della mentalità. La differenza è quando giochi nello stesso modo con il Monza. Guai accontentarsi. Provate ad aggiungere i due punti buttati a Marassi con la Samp e il crollo con la Salernitana dopo il gol di Candreva. Sarebbe bastato poco per restare nella scia del Napoli, ma i discorsi non contano. Vale la legge del campo.

Psicologia

Altro che Montevarchi-Sangiovannese. Quel derby gli dava più pressione di Juve-Toro, disse. Volete mettere Roma-Lazio? Se n’è accorto. Non esiste altra rivalità più accesa in Europa, non c’è confronto con Londra. E’ cambiato Sarri, capendo quanto contava. Per Zeman era una partita come le altre. Rossi parlava di un campionato all’interno del campionato. Mau si è inserito nella scia di Delio. E’ diventato amico di Massimo Maestrelli. Un rapporto custodito in confidenza. Si sentono, si mandano i messaggi. Chissà cosa gli avrà detto o scritto il figlio del Maestro. Raccontano dietro le quinte come Mau si sia speso nell’ultima settimana. Non aveva bisogno di convincere Cataldi e Romagnoli, di spiegarlo a Vecino e di raccomandarsi a Luis Alberto, tenuto sulla corda. Era necessario farne comprendere il significato a Casale (ex Empoli e Verona) o Provedel, senza troppe energie nervose dopo due mesi ad altissima intensità. Meglio farsi trovare pronti. Qui e ora, come dicono i mental coach. Tra sei mesi chissà. L’infortunio di Immobile e la squalifica Milinkovic raccontano l’imponderabile dello sport. Non sai mai se ci sarà un’altra possibilità. Sarri ha toccato queste corde vocali per scuotere il gruppo. Un derby va capito in anticipo, non dopo. Il 20 marzo, dopo lo 0-3, il tecnico della Lazio rimase malissimo. Trasfigurato, arrivò al punto di meditare le dimissioni.

Percorso

Ecco come si spiega il compromesso, raggiunto in carriera. Ci sono momenti e occasioni in cui bisogna sapersi adattare. Sarri, per la verità, aveva cominciato ad adattarsi con Chelsea e Juve, mediando tra le proprie idee tattiche e l’impossibilità di realizzare l’utopia con Ronaldo, Bonucci e Chiellini, per niente disposti a rinunciare alle proprie abitudini. I calciatori sono conservatori. Gli allenatori anche. Sarri, a 63 anni, sta realizzando la sintesi. Un mese fa, intervistato dalla televisione svizzera, rigettò l’etichetta che gli è stata (a torto) attribuita. «Nella mia carriera ho fatto tutti i moduli e mi danno dell’integralista. Non penso sia vero. Se mi chiedete una definizione, posso dire di ritenermi un trasformista. Adatto le mie idee, a cui non rinuncio mai, alle caratteristiche che alleno». L’utopia sì, è la molla che lo spinge alla ricerca della perfezione: studiare e realizzare sul campo il movimento in sincronia di dieci giocatori. 

Piano

Un anno fa, con il contropiede alla Inzaghi vinse il suo primo derby romano (3-2), finì sotto la Nord con Olympia e poi disse che non gli era piaciuto tanto come aveva giocato la Lazio. Adesso l’idea non lo ha sfiorato. Massimo godimento. Contava rialzarsi e battere la Roma. Le caratteristiche e il modo di tenere il campo di Mourinho servivano l’assist al piano tattico. Certo, era fondamentale non concedere profondità a Zaniolo e Abraham. Obbligatorio ridurre e accorciare le distanze da Provedel con la linea arretrata. La Lazio, però, sta tenendo il baricentro basso dall’inizio della stagione. Al Franchi, con la Fiorentina, si era tirata ancora più indietro vincendo 4-0. Sette partite sulle ultime otto senza prendere gol. Solo 2 tiri nello specchio concessi alla Roma. I numeri raccontano una tendenza, accentuata dalle assenze di Milinkovic e Immobile. Ancora più complicato, sotto pressione, costruire dal basso e guadagnare metri. Mancavano l’appoggio fisico del serbo (con palla rasoterra o alta), la profondità di Ciro, le combinazioni a destra tra Lazzari e Felipe. Zaccagni l’unico, con le sue sterzate, in grado di far salire la squadra: c’è riuscito nel primo tempo, era esausto dopo sessanta minuti. La Lazio, nella ripresa, è ripartita una sola volta (occasione Cancellieri-Felipe) e ha difeso con i denti il vantaggio. Esisteva un solo modo per dare scacco matto a Mourinho e Mau l’ha cavalcato senza tentennamenti. «La testa era qui» ha confessato, in parte giustificando i ko con Salernitana e Feyenoord. Mai avrebbe pensato di arrivare a tanto. Il derby lo ha condizionato, altrimenti non avrebbe lasciato fuori Milinkovic nove giorni fa, peraltro senza evitare la squalifica. I calcoli, extrema ratio, di solito non si fanno. La panchina disponibile era modesta. Hysaj, Basic, Cancellieri e Romero i suoi quattro cambi nel derby. Un’altra lezione a Mourinho e un avviso a Lotito. Se ci crede, rinforzi la Lazio a gennaio.


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